Nuova Repubblica - anno III - n. 4 - 25 febbraio 1955

NUOVA REPUBBLICA 15 giorni nel fflondo LARUSSIA _HA PAURA A LOO G.ARosc1 ha scritto un bel– lissimo articolo su /I Mondo per offrire qualche elemento d'interpretazione sulla crisi per cui è passato rcccntcmcnte il governo ·sovietico. Siamo d'accordo sia sul metodo seguito, sia sulla maggior parte dei risultati conseguiti: C'è un punto tuttavia che ci lascia alquanto perplessi. Pensiamo valga la pena di discuterne non per spirito polemico, ma perché un'interpretazione esatta di quel punto può determinare con– seguenze assai diverse nell'impo– stazione di una politica estera euro- pea. · Garosci dice che « non sembra che il riarmo occidentale tedesco, non ancora in atto, o la crisi di Formosa siano stati fattori decisivi del mu– tamento d'indirizzo o di personale avvenuto in seno al governo sovieti– co... >. Varrebbe la pena continuare la citazione fino al capoverso, ma la maggior parte dei nostri lettori l'avrà letta direttamente. Comunque, ab– biamo citato l'essenziale. Se quest'interpretazione fosse esat– ta, vorrebbe dire che i motivi di po– litica estera che possono avere con– tribuito a determinare l'esonero di Malenkov erano già presenti da mol– ti mesi, che non erano cagionati da fattori esterni e che corrispondevano invece a uno sviluppo interno di quella politica. In altri termini, vor– rebbe dire che la sostituzione di una politica di più intenso riarmo ad una politica che affermava di fare largo posto alla produzione di beni di consumo, corrisponde a nuovi pia– ni aggressivi dei dirigenti sovietici nei confronti degli altri paesi e non al timore - fondato o infondato - di questi stessi dirigenti cagionato da una minaccia esterna. A convalida di quest'interpretazio– ne si potrebbero citare le dichiarazioni sempre più numerose di Krusccv, nel corso dell'ultimo anno, a fa,.-ore di un ritorno al primato dell'indu– stria pesante, e l'esonero di Mikoyan, apparentemente fautore di una po– litica di più larghi consumi interni attraverso un aumento delle impor– tazioni, qualche settimana prima del– l'esonero di Malenkov. Un'analisi più accurata permetterebbe forse di sco– prire anche altri clementi di conva– lida. Ma vi sono anche prove in senso inverso. Il problema del riarmo tede– sco è posto sul tappeto da almeno cinque anni e mezzo. Dopo la ca– duta della CED e la ratifica degli accprdi di Londra e di Parigi da parte dell'Assemblea Nazionale fran– cese, che era stato il Parlamento più restio. ad approvare il riarmo della Germania occidentale, la Russia ave– va potuto temere che finalmente que– sto riarmo - per quello che vale militarmente, ma con tutto il poten– ziale esplosivo che comporta sul piano di eventuali rivendicazioni "ter– ritoriali della Germania di Bonn - entrasse ndla fase delle attuazioni pratiche. Le concessioni effettive con– tenute nell'ultima nota sovietica re– lativa alla Germania - che hanno indotto i maggiori partiti socialisti europei a premere sui propri governi .._per una richiesta di chiarimenti al– l'Unione Sovietica - dimostrano la preoccupazione sovietica per la pos– sibilità che questo riarmo finalmente si faccia. t vero, d'altra parte, che la crisi di Formosa è recente, ma la convo– cazione del Soviet Supremo, davanti al quale è avvenuto formalmente il « rimpasto > ministeriale sovietico, è contemporanea all'aggravamento del– la tensione a proposito di Formosa e può anche essere stata determinata - dall'intensificazione dei pericoli di guerra a seguito di queste vicende. Non è escluso, cioè, che Mikoyan sia stato eliminato quando il riarmo tedesco è apparso inevitabile e che il gruppo dirigente sovietico si sia deciso all'esonero anche di Malenkov - con tutto il pericolo di instabilità che comportava - dopo l'aggrava- u \J mento della crisi in Estremo Oriente. La trasmissione finora relativamente pacifica dei potefi da Malenkov a Bulganin può servire a confermare che si è voluto, nell'Unione Sovieti– ca, far fronte, con una sostituzione di uomini, a una minaccia esterna più grave, cercando di . ridurre al minimo le ripercussioni interne di questo trapasso di poteri. Questa interpretazione, insomma, non è più arbitraria di quella citata all'inizio di quest'articolo e può forse inquadrarsi meglio in alcuni prece– denti della diplomazia sovietica. Ci riferiamo anzitutto al trattato di Ra– pallo con la Germania di Weimar, con cui i dirigenti bolscevichi ten– tarono di sfuggire - e vi riuscirono in parte - all'incubo dell'accerchia– mento fin dalla fine della prima guerra mondiale. Ma intendiamo riferirci sopratutto al patto germano-sovietico del 23 agosto 1939, che fu all'origine dello scoppio della seconda guerra mon– diale. Si può considerare quel patto un tradimento della lotta antifascista. Tale fu la definizione che ne dette Emilio Lussu su Giustizia e Libertà, a Parigi, subito dopo la firma. . Ma oggi giova sopratutto capire i motivi per i quali Stalin e Molotov' si decisero allora a concludere un patto cosi obbrobrioso con Hitler, che mise in crisi per almeno due an– ni, fino all'aggressione hitleriana con– tro l'URSS del 22 giugno 1941, tut– to il comunismo occidentale e una buona parte del movimento operaio. I dirigenti russi avevano avuto paura. Avevano avuto paura che Chamberlain e Daladier li giuocas– sero e aizzassero Hitler ad aggredire l'URSS, lasciando tranquilla l'Europa occidentale. Quale ne fosse il fon– damento reale, il sentimento di paura esisteva e rifletteva ancora una volta un incubo analogo a quello dell'ac– cerchiamento, che vent'anni prima , si era impadronito dello stesso Lenin, e da questi attestato in numerosi suoi seri tti e discorsi. Quando, dopo la fine della secon– da guerra mondiale, americani e russi iniziarono la guerra psicologica sulle responsabilità della seconda guerra mondiale, gli americani pub– blicarono i documenti diplomatici tedeschi relativi alle trattative ger– mano-sovietiche del 1939, che ave– vano condotto alla conclusione del patto di non aggressione del 23 ago– sto, e i russi replicarono pubbli– cando i documenti segreti relativi alle trattative che condussero agli accor– di di Monaco dell'ottobre del 1938 tra Chamberlain e Daladier, da un lato, e Hitler e Mussolini, dall'altro. Abbiamo il sospetto che un senti– mento di paura dello stesso genere si stia impadronendo dei dirigenti sovietici, a seguito della prospettiva di un riarmo tedesço e di una guer– ra per Formosa, e che tale sentimen– to si stia inserendo attivamente sui motivi preesistenti di crisi interna creati dai problemi della successione di Stalin. Per quanto, nelle misure militari prese da un paese, sia sempre assai difficile distinguere, in linea di fatto, fra i moventi aggressivi e quelli di– fensivi, non è senza importanza di– stinguere in questo caso i moventi internazionali e militari che possono avere influito prevalentemente sugli sviluppi della crisi di governo in Russia. Secondo l'interpretazione di Garosci, si sarebbe indotti a ricer– care moventi aggressivi. Secondo la nostra, si dovrebbero ricercare piut– tosto moventi difensivi. Nel primo caso, l'Occidente ha una sola conseguenza da trarne: rinunciare alla ricerca di una disten– sione con la Russia e armarsi di tutto punto. Nel secondo, una fran– ca spiegazione può dissipare almeno in parte la paura della Russia e contribuire ad avviare una trattativa che possa finalmente · permettere di risolvere almeno alcune delle que– stioni pendenti in modo pacifico. t probabile, tuttavia, che - qua– lora sia possibile attribuire uno spe– cifico carattere a quei moventi - i ITALIA, oggi (;onlin.uazionc dttlla pau. 4) Si dirà che, a questo punto, un se– gno di riconoscimento sicuro diver• rebbe l'apertura verso Nenni. Se la DC giungesse, supponiamo, a realizza– re la nazionalizzazione d'elle fonti di energia, e a mettere in tammino un serio piano di occupazione, il suo sini• strismo sarebbe tale da persuadere per– sino Nenni. Sarebbe fatta, indubbia– mente, una cattiva azione ai minori: ma muoiano i minori, se non signifi. cano nulla, e viva l'intesa Fanfani-Nen– ni, sulla base di una politica econo– mica socialisteggiante. Ebbene, stiamo attenti. C'è un prezzo che Nenni non pagherà mai, neppure per le naziona– lizzazioni e per l'occupazione dei co– munisti. Ma questo è poi il prezzo reale del sinistrismo democristiano: apertura sociale, chiusura politica. Per– ciò noi ci collochiamo dalla parte dei pessimisti, e non osiamo sperare che, dietro all"aituale silenzio democristia– no sulla via del futuro, vi sia, auten– ticamente, qualche cosa di diverso da una democrazia conservatrice. E SISTE, allora, una terza via? Pur• troppo non ne vediamo nessuna facile: né la tenta~ione del destrismo, né la simulazione del sinistrismo, ci sembrano forieri di una soluzione a breve scadenza. Si parla frattanto di una iniziativa La Malfa, con alcuni sindacalisti della UIL, con liberali di sinistra e radicali insoddisfatti, intesa a sbloccare la situazione a lunga sca– denza. Siamo costretti a temere che si tratterebbe del solito esercito di gene– rali senza soldati, di cui esistono già troppe formazioni, e troppe ne sono esistite, in questo dopoguerra. Il suo torto sarebbe comunque di mancare totalmente di contatto profondo con le masse operaie, contatto di cui non dà garanzia alcuna la presenza di qual– che organizzatore della più minorita– ria delle confederazioni, la UIL. Di fatto, la sola soluzione è quella della convergenza di tutte le forze so– cialiste sparse, le quali si impegnino a difendere la non discriminazio11e dei comunisti, e insieme In perfetta auto– nomia politica da questi. Ma sappiamo che, quando proponiamo questa solu– zione, il discorso non riguarda più Fanfani, bensì Ntnni e Saragat: discor– so, dunque, poco efficiente sia verso l'uno che verso l"altro. Ad essere sin– ceri, dobbiamo pe,ò {,,v·ertire che l'uno e l'altro dovrebbero badare di non doversi poi mordere le mani, dinanzi ad un governo monopartitico democri• stiano, semplicen:iente appoggiato a li– berali e a qualche monarchico, eserci– tante la dittatura cattolica, che è inu– tile appesantirsi a qualificare. Di fronte, quindi, alla politica fan– faniana, domandiamo anzitutto a Sa– ragat: è possibile che il suo par.lito metta termine al quadripartito ad ogni costo, e incominci a pensare seriamen– te ad una politica elettorale di largo respiro e di ispirazione proletaria? e domandiamo secondariamente a Nenni: è possibile che il suo partito la smet– ta di tentar il giochetto dello scaval– camento dei partitini, oggi di così bas– sa .dimensione, chè il gioco non vale la candela; e che incominci a pensare ad una guida dell·intero socialismo ita– liano? Alrinfuori di questa revisione socialista, temiamo che non esista, nel• la sostanza, se non la soluzione della destra. Magari con i partitini, se, per non scomparire sott'acqua, vi daranno il loro avallo; o senza di loro, se farà comodo alla Democrazia cristiana. Al– tre scelte non ve ne sono. A noi spet– ta lavorare per la prima; a chi piace, la seconda è aperta, possibile, rosea di speranze. moventi aggress1v1 siano fortemente connessi a quelli difensivi. La mas- · sima che la migliore difesa è l'offesa è ormai entrata nel modo abituale di pensare dei nostri strateghi e dei nostri uomini di stato. D'altra parte, pensiamo che nemmeno chi sostiene l'interpretazione « aggressiva»· della crisi sovietica escluda completamente gli altri elementi. t soltanto questio– ne di proporzione, che però influisce sulla determinazione di una politica estera europea. O si può far poco per convincere la Russia a venire a patti con l'Occi– dente, o si può fare molto. Nel pri– mo caso non vale forse la pena d, perdere troppo tempo. N eJ secondo vale senz'altro la pena di perdere molto tempo. Noi pensiamo che val– ga sempre la pena di perdere molto tempo quando è in giuoco la causa della pace. P.lOLO VITTORELLI 6/kta aolle C REDO che Alessa11dro sia il << primo amore di Maria Pia, forse avrà avuto anche lei qualche simpatia segreta, come tutte Le ragazze, però Alessandro è certamente il primo uomo ama– to da mia figlia>. Queste parole non sono state pronunciate dal padre di miss Piombino, ma da Umberto di Savoia, ex re d'Ita– lia e attuale pretendente al tro– no. L'Alessandro di cui si parla è bruno, torvo, con uno sguardo obliquo da sensale d'olio; una ci– catrice sul sopracciglio destro completa il suo aspetto di capo-· banda balcanico. E infatti un. serbo, rampollo di quella dina– stia Kara-Georgevitch che sedet– te per lllngo tempo sul trono di Belgrado, dopo aver fatto mas– sacrare a sciabolate, verso i primi del secolo, .re Milano e la regi1la Draga Obre11ovich, assopiti nel letto nuziale e regale. Alle origi11i della famiglia di Alessandro sta Giorgio il Nero (Kara-George) mandriano di porci e capo tribù. serbo, distintosi nelle imboscate contro i turchi. Del resto, .rnngue balcanico scorre abbo11dante nelle vene di Maria Pia; sua nonna era figlia di Nicola Petrovich-Njé-, goch, re del Montenegro, famoso per ,ma fiera risposta data ad un ambasciatore birichino che gli chiedeva quanti sudditi avesse. « Lo Zar di Russia ed io ne ab– biamo centoventi milioni >, escla– mò maestosamente il vecchio Ni– cola grattandosi furiosamente le pulci che lo rodevan.o sotto il manto di pelle caprina. Nicola del M onte11egro era infat.ti pro– prietario di sterminati greggi che costituivano la base della sua for– tuna e della sua potenza. La fi– glia ·di Nicola, Elena, sposandosi con Vittorio Ema11uele III di Sa– voia, fòndò quella coppia regale soprannominata Curtatone e Mon– tanara, celebre so·pratutto p·er le sue spilorcerie. Alla reggia, quan– do si davano pranzi di gala, man– darini e arancie venivano contati con cura meticolosa, in modo che a ciascuno toccasse un solo frutto. A corte, sapone e dentifrici veni– vano usati con molta parsimonia, scari,e e stivali venivano fatti suolare anche cinqu.e volte. La famiglia dei Savoia è molto couosGitlta tra gli italiani. In /em– pi remotissimi abitava tra monti e giogaie desolate ai margini delle estreme provincie nazionali. Lì i Savoia erano noti conie contrab– bandieri e tagliaborse al dettaglio, perché la zona non permetteva grossi colpi. Da quella casata uscirono tre effettivi re d'Italia che uno sto– rico plebeo indicò rispettivamen– te con i nomi di Re Sporcaccio– ne, Re Imbecille e Re Tradito– re. Umberto, pad~e della sposa, stette troppo poco tempo sul tro– no per meritarsi una ~ualifica de– finitiva; dobbiamo perciò conten– tarci del nomignolo trovatogli da Pietro Nen11i che lo chiamò < l'e– febo montenegrino>. Resta da parlare di Maria Pia, ultimo fiore sabaudo. ~ grassa, un po' curva, ha piedi piatti, collo massiccio, espressione immobile: sembra ttna tlomestica a mezzo servizio. Con– sci ·di queste insuffice11ze fisiche della principessa, i fotoreporters di un set.timanale a rotocalco hanno dovuto ammettere che « l'obietti– vo fotografico non riesce a co– gliere esattamente la sua bellez– za>. Altri reporters avevano chie– sto a Maria Pia co17Jeaveva fatto a dimagrire «tanto» e l'Altezza Reale aveva risposto « sorridendo maliziosamente>: « basta inna– morarsi>. Evidentemente anche ·Maria Pia legge i fumetti. Della cerimonia matrimoniale si sono occupati ampiamente quo– tidia11i e periodici, né vale ag– gi1Ù1gereparola. Più che un ma– trimonio fra reali la festa sem– brava il carnevale di Viareggio o una sagra dell'uva. Tutti i con– venuti: reali, titolati, vassalli, ge– nerali, ragionieri, plebei e gior– nalisti hanno mangiato, bevuto, cantato, urlato, schiamazzato in una promiscuità ,_ esistenzialista '. Poi gli sposi sono partiti in segre– to per il viaggio di nozze come due qualsiasi dopolavoristi (le re– gine di Francia partorivano in pubblico!). Sembra abbiano tra– scorso la prima notte di nozze a M adera forse in ricordo ai un noto romanzo scritto da Paolo Mante gazza, candido pornografo d'altri tempi. PAOLOPA\'OLIXI 5

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