Nuova Repubblica - anno III - n. 3 - 10 febbraio 1955

I giovani nella eocietà U.GI e liberalismo U NO degli aspetti più notevoli del congresso tenuto lo scorso --anno a Milano dall'UGI, fu l'interesse ri– servato alla scuola media, e la chiara esigenza messa in luce dai congressi– sti di una politica dell'UGl a favore degli studenti medi. Si ravvisava un segno di maturità nell'iniziativa « di quei giovani che operano nella scuola m:1 guardano al paese »; si riconosce– ,·• cioè la validità di quelle iniziative autonome degli studenti (giornali ed associazioni) intese a far senti.re una presenza democratica fra i giovani indipendentemente dai partiti, e a preparare i giovani alle successive esperienze della democrazia universi– taria e della vita nel paese. Subito dopo il congresso milanese, vennero prese alcune iniziative concre– te: a Milano, i giovani dell'UGI or– ganizzarono un ente di coordinamen– to fra le varie iniziati~e degli studen– ti medi, denominato « Servizio Stam– pa studentesca », che si occupò della organizzazione di un convegno regio– nale della stampa studentesca e della raccolta ed archiviazione delle pubbli– cazioni studentesche. Le direttive generali si possono com– pendiare come segue: appoggiare le associazioni studentesche; favorire la trasformazione in associazioni dei gior– nali attualmente esistenti; impedire la formazione di organismi federativi fra le varie associazioni che diverrebbero strumenti di rivendicazionismo « sin– dacale »; salvaguardare in generale l'autonomia delle iniziative studente– sche. Non si può che essere d'accordo con alcuni degli aspetti della politica dell'UGI: le premesse essenziali per la validità di qualsiasi iniziativa gio– vanile sono la più completa autono– mia ed il distacco da schemi partitici precostituiti. Dal comples~o delle po– sizioni dell'UGl nella scuola m~dia traspare però un indirizzo partico– lare, rispondente a certi schemi di riformismo a_ssai cari ai giovani li– berali. Si ha pau;a che il movimento studentesco, attraverso un'organizza– zione sempre più stretta, giunga a posizioni concrete, si ha paura che le forze giovanili si pongano sfa pure indirettamente, come forza avente pre– cisi obiettivi di azione anche politica. Così, alla sostanza democratica del giornale studentesco, volto alla discus– sione attorno a precisi problemi con– creti, i giovani dell'UGI preferisco– no la democrazia - spesso solo for– male - dell'associazione. Un fattore che ha contribuito a fare arroccar~ l'UGI sulle posizioni attuali, è stata forse la politica dei giovani comunisti, che, attraverso al loro « Consiglio Nazionale Studenti Medi » ( un organismo programmaticamente aperto a tutte le correnti, ma in prati– ca appendice della FGCI), sostenevano apertamente i giornali, perché più ri– spondenti alle esigenze della loro po– litica, a quei tempi basata piuttosto sulla protesta e sul rivendicazionismo frammentario ed episodico (cfr. cam– pagna per il « voto palese») che su propositi di formazione democratica. Quest'anno però i comunisti si pre– sentano con un programma riveduto e meglio adattato alle reali esigenze della scuola media e dell'ambito gio– vanile, e tendente a far proprie certe posizioni « liberali ». Confrontato con quello del\'UGI, non pecca certo per ristrettezze di v~ute: i comunisti so– stengono sia i giornali che le associ•– zioni studentesche, favoriscono i coor– dinamenti fra le varie iniziative del genere e si presentano dovunque con la più stretta osservanza alle regole democratiche, senza tentativi di so– praffazione, mantenendo un atteggia– mento « liberale » ed esente da qual– siasi coloritura di parte anche nelle as– sociazioni studentesche in cui (si è dato qualche caso) ottengono la mag– gioranza. L'attuale politica dell'UGI e degli organismi studenteschi che da essa dipendono viene quindi criticata an– che da molti giovani che dell'UGI stessa condividono le posizioni e le premesse generali, e che avevano salu– tato con simpatia la sua iniziativa fra gli studenti medi. I giovani dell'UGI dimenticano che, in molti centri di, provincia, e specialmente nel meridio– ne, certi giornali redatti da studenti ed indirizzati indistintamente a tutti i giovani (giornali che non dipendono da nessuna associa~ione di liceo e per– ciò possono liberamente prendere po– sizione su problemi sociali e giovani– li, se non politici), si pongono come l'unica spinta al rinnovamento politi– co e culturale, e cost1tu1scono le espressioni più generose e sincere del movimento studentesco, rappresenllln– do un'uscita dallo stretto ambito deità scuola per scendere con iniziative con– crete nel paese. A questo schema, i liberali hanno fino ad ora opposto solo un vtgo con– cetto di democrazia intesa come voca– zione e come esercizio formale del metodo democratico, che significa in pratica distacco dai problemi del pae– se ed allontanamento del movimento studentesco da ogni fine valido. Ultimamente si sono verificati co– munque· alcuni fatti che fanno preve– dere una svolta nel movimento stu– dentesco, e che in parte smentiscono l'indirizzo dell'UG I. A Roma, ad esempio, si è costituita l'Unione Stu– dentesca Laziale (USL), a cui aderi– scono altre associazioni minori, e in altre città è viva l'esigenza di orga– nismi se non federativi (cosa che riuscirebbe quasi sicuramente dannosa}, rappresentativi o di coordinamento fra le varie associazioni studentesche. I fatti ci diranno poi se fra gli stu– denti medi prevarranno le iniziative a carattere strettamente scolastico o le esigenze di un'azione a più largo re– spiro che, al di fuori degli schemi par– titici, faccia del movi~ento studentesco la più chiara espressione della nuo– va generazione democratica e di tutti i giovani che aspirano ad un rinnova– mento nazionale. OIAN CARLO BVZIO Un certo Giovanni Balestra, di 39 anni, condannato per aver preso parte nel '44 a un furto di gomme è evaso dal Carcere di Alba (Tori– no), dove stava scontando gli ultimi sette mesi di peha, per raggiungere la moglie ricoverata in un ospedale in cui doveva subire una difficile ope– razione chirurgica al cuore. La poli– zia ha ricondotto subito in prigione il disgraziato senza che gli fosse sta– to possibile rivedere la sua compa– gna morente per parlare con lei del– la cosa che più lo tormentava: il destino dei tre figli. Così il ladro di copertoni Giovanni Balestra dovrà tornare in carcere e rimanervi per scontare, oltre la pena precedente, anche quella che gli verrà inflitta per il suo tentativo d'evasione. 1' la sorte dei ladri al dettaglio. I ladri all'ingrosso, che non mbano per fa– me, non hanno bisogno d'evadere dalle galere: girano a piede libero, abitano in alberg7i di lusso, creano grandi aziende passivi, maneggiano miliardi e parlano di politica. Tal– volta i loro interlocutori sono depu– tati e ministri. B1blloteca Gino B anca NUOVA REPUBBLICA 7 PAGINE DICULTURA CONTEMPORANEA IL MOVIMENTO. SINDACAL. VIII V ENUTt a conoscenza dell'accordo ot– tenuto, i Dirigenti del Sindacato di Milano, ignari della differenza di la– voro, e ritenendo che le paghe della ditta Diatto fossero come quelle di Milano, dichiararono che essi pure avrebbero accettato le stesse condizioni fatte agli operai della Diatto. Gli in– dustriali accettarono, sapendo che le condizioni erano diverse; fu nomina– to arbitro l'lng. Salmoiraghi. Lo scio– pero cessò e si inneggiò alla vittoria, ·ma, tre mesi dopo, il responso dell'ar– bitro dichiarò che le paghe erano in media superiori cji due centesimi al– l'ora per quelli di Milano (in quel tem– po si avevano medie orarie sui 34-35 centesimi) e quindi si sarebbero dovute ridurre. Gli industriali però concessero un aumento di mezzo centesimo al– l'ora. Se ne deduce che per dirigere una organizzazione sindacale bisogn·a cr,. noscere almeno le condizioni dell'rn– llustria che si dirige. Infatti nei pri– mi anni il movimento operaio era diretto da operai chiamati al posco ,ii dirigenti per la loro capacità dimostra– ta nella professione: Quaglino, se– gretario degli Edili, muratore; Buoz– zi, aggiustatore meccanico~ Galli, ramo tessili. Locàlmepte, Bellotti, Cattanev, Libò, muratori, Grassini, tornitore, Fa– rina, fonditore, Marelli, impressore, ecc. L'errore madornale compiuto dai sin– dacalisti non sarebbe avvenuto. Uno sciopero qualunque, sia d'en– tità locale, provinc.:iale o nazionale, deve avere un obbiettivo da raggiunge– re; nel caso in• parola la tattica del– l'azione diretta propugnata dai sinda– calisti che poggiava sopratutto sull'in– tervento solidale della massa, doveva servire anche ad addestrare i lavora– tori all'uso dell'arma dello sciopero per prepararsi allo sciopero generale, espropriatore. Ma se per ogni ca– tegoria in sciopero noi chiamiamo tut– te le altre nella lotta, noi avremo lo sciopero generale in permanenza, per– ché oggi chiamiamo i muratori in so– lidarietà dei metallurgici, domani sa– ranno i muratori che avranno bisogno dei metallurgici, e così via. Bisogna legare gli interessi di tutte le cate– gorie; ciò che si perde di tempo in resistenza, guadagnarlo colla vastità del movimento. Ma siamo oggi sulla buona strada? Chi scrive ne dubita e tenterà di dimo– strarlo. Dopo la liberazione, fu costi– tuita l'unità sindacale. Ma era sincera quella unità? No, e lo si vide presto. Mentre i preti in saio o in gonnella frequentavano i locali camerali, mai si permise che i coltivatori diretti fos– sero uniti nelle Cooperative, mai se ne ammise la fusione. Le Acli, poco tempo dopo, con la scusa di assistere i lavoratori sul terreno mutualistico, infortunistico, ecc. in realtà crearono un controaltare al movimento sinda– cale unitario. Quando chi scrive si oppose a certe pretese dei d~mocri– stiani, fu chiamato da Santi e da Al– berganti e si sentì dire: tu incrini l'unità sindacale. Al che risposi: vi renderanno l'aria irrespirabile. Così fu. I democristiani rimasèro nel sindaca– to unitario fino a che ebbero preparati i IN ITALIA loro quadri, e maturata cosf la scis– sione. Ma ecco il punto, che investe le responsabilità di tutti. Nel passato le agitazioni, gli scioperi, venivano decisi dalla massa interessata alla lot– ta; ora vengono decisi dai dirigenti. La base si può dire non conta più. Il crumiraggio è diventato un di– ritto, un tempo era un'infamia. Si as– siste spesso ad agitazioni, a scioperi, in cui la Confederazione, pensosa de– gli interessi nazionali, ne limita la du- 1 rata o li comprime, accettando le la– vorazioni a ciclo continuo; ma a par- te la considerazione che il lavorato– re scioperante deve subire tutto il danno dello sciopero mentre il lavo– ratore a ciclo continuo non ne sof– fre alcun danno, introducendo questo sistema di lotta, non si educa la mas– sa alla solidarietà. Nel passato spes– so veniva fatta a ditte che accet- di L. REPOSSI tavano i patti proposti, la concessione di lavoratori, ma gli operai che lavo– ravano dovevano versare la somma percepita ad una cassa di solidarietà. Ne derivava che quegli operai la– voravano sì, ma il crumiraggio era invertito, e la somma che quegli operai ricavavano dal lavoro era a beneficio di tutti. Ora non si applica che il sistema egoistico •e ciò determi– na malcontento fra i lavoratori. Nel 1948 durante l'agitazione dei lavo– ratori chimici, agitazione che durò 79 giorni, quando si minacciò la fer– mata delle lavorazioni a ciclo conti– nuo, il Governo che sino ad allo– ra si era disinteressato all'agitazione, se ne preoccupò e il Sottosegretario La Pira convocò le parti per trovare un componimento. Ma la rinuncia non bastava, bisognava porla in atto; visto che dopo 79 giorni di lotta non si era prodotto che demoralizza– zione in mezzo agli operai e nes– sun danno agli industriali (perché, con i cicli a lavorazione continua, tutt'al più la merce rimaneva in magazzino, ancora utilizzabile, mentre gli operai . non a ciclo continuo erano ridotti alla fame), e visto altresì il pericolo dello sfacelo clei Chimici a Mila– no, chi scrive e il segretario del Sin– dacato Chimici, Bianconi, dettero or– dine di fermare i cicli continui. Nascita delle Commis,ioni interne F u verso il 1903 che i metallurgi– ci a Milano iniziarono la lotta per le commissioni interne. Le officine cominciavano ad avere numerose mae– stranze e la lega tornitori di Mila– no, con la lega aggiustatori, comincia– rono a richiedere, per ogni memoriale presentato, il riconoscimento di una ' commissione incaricata di chiarire le questioni che potevano sorgere fra maestranze e ditta. Questa Commissio– ne interna avrebbe rappresentato la maestranza nei confronti dell'Azienda. Le Ditte sistematicamente respinaevano la richiesta. ma la questione rimase aperta sempre e, come per le otto ore, questo diritto fu conquistato do– po lotte durissime. Solo quando fu maturato nella coscienza della massa, si poté conquistarlo, dapprima a To– rino. dopo uno sciopero durato 90 giorni, poi a Milano nel 1918 e in– fine in tutta Italia nel 1919, insieme alle otto ore, in -conseguenza della fine della guerra e del pericolo che le masse, tornate dalla guerra e a conoscenza di quanto era avvenuto in Russia, ripetessero in Italia la stessa esperienza. Gli industriali cedettero, ma non appena le condizioni cam– biarono, la prima cosa che gli ind u– striali richiesero ai fascisti fu l'abo– lizione delle commissioni interne. !"fa la lotta non fu facile ed ebbe le .sue vittime. Se pure incruenta, fu lotta dura. Dapprima. gli organizza– ti che si mettevano a capo del movi– mento nelle officine, venivano licen– ziati e segnati nelle liste nere, co– sicché venivano boicottati e per tro– v3:re lavoro dovevano andare da pic– cole ditte che pagavano meno la ma– nodopera. Ma essendo generalmente operai provetti trovavano facilmente da lavorare. Gli industriali accorgen– ,dosi che il boicottaggio impoveriva la maestranza provetta e non affa– mava i lavoratori, se pur creava loro un certo disagio, cambiarono tattica: invece di licenziarli li nominavano capi reparto o. capi officina. Il mi– raggio di mi8Iiorare le condizioni economiche faceva · presa, e. gli ope– rai videro passare nel campo oppo– ~to, al servizio degli industriali, chi prima era a capo della lega, a di– fendere i loro interessi. Di qui la di– sistima e il sospetto contro i nuovi capi. Gli industriali ottenevano il lo– ro scopo. Se riusciva avevano un buon capo di più e un organizzatore in me– no, se non riusciva l'individuo era di– sistimato e non sarebbe più stato un organizzatore. Allora cominciò ,la lotta per parare la manovra industriale. Fu Bruno Buozzi il primo a sostenere che, dal momento eh..., gli industriali avevano adottato quella tattica per staccare dal– le leghe gli elementi più combattivi, noi dovevamo batterli, non radiando da socio chi era diventato capoccia, ma tenendolo ancora iscritto ed esigen– do una condotta conforme allo Statuto della lega e agli interessi dei lavo– ratori. In mancanza di ciò, si sarebbe ap– plicata l'espulsione. Ma non tutti gli operai si convinsero, specie i sinda– calisti. l'u solo col fascismo che i capi poterono restare inquadrati nei sindacati, ma questo non tanto per solidarietà quanto per obbligarli a pa– gare la quota mensile. Poi a libera– zione avvenuta nessuno più parlò di radiarli e solo quelle categorie i cui interessi 1fano più con gli iq_dustria– li che con i lavoratori furono escluse dal sindacato: capi operai, direttori di aziende, tecnici, amministratori. Im– piegati di tutte le categorie rimasero nei sindacati costituiti ormai per in– dustria. Ma la lotta per le commis– sioni interne è ancora all'ordine del giorno. (,onUnuo)

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