Nuova Repubblica - anno II - n. 12 - 20 giugno 1954

Il 13 febbraio dello scorso a,1110 l'Ac– cademia dei Li11cei aprì un largo dibattilo sul tema « Piani/ica=io11e et:011omica in re– gime democratico». Le relazioni furono lette da U. Papi, C. Luz::.alto e P. Greco; alla discussione /JUrteciparono La Mal/a, Gri::.iolli, Di Nardi, Arena, De Meo, Piti– gliani, Vanoni, Malagodi, Druguier, Cam– bi110, Ja1111accone, Ciorda11i. Crediamo di /llr cosa 11tile ai lettori di Nuova: Repub– blica riJ>roducendo (Jlli il testo delllt rela– ::ione dr/ prof. l..11::.::atto. I. Dal mercantilismoal trionfo dell'individualismo econo– mico. ' E stata lamentata l'ambiguità del termine pianificazione: anzi il Robbins attribuisce, appunto, a questa ambiguità la sua grande forza di :ittrazione. li termine infatti può essere riferito ad ogni impresa, indi– viduale o spciale: e in questo senso una pianificazione è sempre esistita e nes– suno si sogna di contestarne la necessi– tà. Non è però di essa che oggi tanto si interessano i partiti politici, le or– ganizzazioni sindacali, gli economisti, i quali in realtà pensano alla pianifirn– zione statale. Ma anche limitato in questo senso, il termine non perde del tutto la sua ambiguità, perché lo si vede spesso applicato, oltre che alla pianificazione vera e propria, anche al– le nazionalizzazioni e al dirigismo, il quale è per molti sinonimo di pianifi- cazione. In realtà soltanto nella pianificazio– ne integrale, com'è quella che dal 1929 in poi si è andata attuando in Russia, i tre concetti si fondono e si identi– ficano: non esistono più attività pro– duttive, o commerciali, o di traspor– to che non siano nazionalizzate, e che lo Stato non controlli dal centro, in– dirizzandole a un fine predeterminato, secondo un piano che di cinque in cin– que anni viene .fissato nei suoi più mi– nuti particolari, qualitativi e quanti– tativi. Ma fuori della Russia e - in questo ultimo dopoguerra - degli altri Stati dell'Europa orientale compresi nella sua sfera d'influenza e, forse, della Cina comunista, le nazionalizzazioni, che in vari Stati, anche a costituzione liberale e democratic;, erano state at– tuate, per qualche singola industria, già avanti la prima guerra mondiale, ri– spondevano a necessità contingenti od a qualche fine particolare, non ad un vasto piano il quale comprendesse tutto l'indirizzo ~ell'economia nazionale. Il dirigismo, o - per esser pili esat– ti - il controllo dello Stato sopra am– pie zone della produzione, specialmente industriale, e degli scambi, ma non mai dei costumi, fu per più di due secoli una delle caratteristiche fondamentali della politica mercantilistica, e in mol• ti rnsi ispirato da un piano: da quello cioè di migliorare ed aumentare la pro– duzione artigiana e manifatturiera e di raggiungere una bilancia attiva dei pagamenti. Si tratta di una pianificazione par– ziale, che non si accompagna mai alla nazionalizzazione di attività già esi– stenti, ma soltanto alla creazione da parte dello Stato di alcune industrie nuove, che il capitale e l'iniziativa pri– vata non potevano creare (le famose manifatture della Corona nella Fran– cia del Re ·sole), oppure della parte– cipazione, spesso prevalente, del ca– pitale dello Stato nella costituzione di società per imprese marittinie o colo– niali. Ma questa pianificazione lasciava in vita tutte le imprese private, grandi o piccole che esse fossero, sottoponen– dole ad una rigida vigilanza di organi creati a questo scopo dallo Stato asso– luto, il quale considerava l'attività del singolo cittadino come un semplice o e NUOVA REPUBBLICA PAGINE DICULTURA CONTEMPORANEA PIANIFICAZIONE EC OMICA • • ln regl1ne democratico strumento della potenza e della ric– chezza dello Stato. Alcuni dei principali strumenti del- la politica pianificatrice mercantilistica, sono rimasti in vita anche dopo che la fortuna del mercantilismo ha comin– ciato a declinare: e sono i dazi prote– zionistici contro l'importazione ed i premi di esportazione, che, adottati da– gli Stati democratici non meno che dalle monarchie assolute e dalle dit– tature, sono considerati dagli avver– sari - e in molti casi sono realmen- te - come una concessione cl i favori e di privilegi strappati agli organi sta– tali da potenti interessi organizzati e coalizzati in danno della grande mas– sa dei consumatori e della stessa eco– nomia nazionale; ma che m altri casi rappresentano i mezzi, coscientemente usati, per il raggiungimento di un de– terminato fine politico ed economico d'interesse generale. Anche in pieno secolo XIX, dopo l'enorme fortuna dell'opera di Adamo Smith, dopo la rivoluzione industriale inglese e la rivoluzione politica del l789, dopo il trionfo dell'individuali– smo economico ed il rapido diffonder– si delle idee e delle istituzioni democra– tiche, il mercantilismo, più o meno camuffato, seguitò a sopravvivere in queste forme di protezionismo diretto ad un fine nazionale. Anche ,dopo il trionfo del libero scambio in Inghil– terra, dopo il viaggio trionfale di Ric– cardo Cobden, il più convinto e fer– vido assertore .della libertà economica fra tutti i nostri uomini di Stato, il più costante difensore del regime co– stituzionale e parlamentare, Camilla Cavour, può considerarsi, sotto certi aspetti un pianificatore e forse un pre– cursore, nella pratica, delle più mo– derne teorie economiche per pro– muovere, con l'azione statale, l'attività economica del paese in un periodo di crisi. Nominato ministro dell'agricoltura nel 1851 ed elevato poco dopo alla Presidenza del Consiglio, in un mo– mento estremamente difficile del suo paese, ch'era ancora in uno stato di grave depressione morale per il risul– tato disastroso delle due guerre, che era internamente diviso per il profon– do malumore dei Genovesi contro il dominio sabaudo; in una situazione fi– nanziaria disastrosa per le ·spese di guerra e per l'indennità da pagare al- 1' Austria, il Cavour non si preoccupò affatto delle critiche vivacissime dei numerosi oppositori, che giudicavano assolutamente pazzesca e rovinosa la sua politica finanziaria, per affrontare subito e rapidamente ingenti spese straordinacie, destinate a mutare in breve tempo la struttura economica del paese; e non si spaventò della ne– cessità di aggiungere per questo nuo– vi debiti a quelli che già esistevano, contraendo prestiti all'interno ed al– l'estero. Vedendo nella politica delle costru– zioni ferroviarie il primo mezzo per quella rapida trasformazione a cui aspirava, egli riuscì in soli sei anni a dotare il Piemonte, di 800 Km. di ferrovie secondo un piano organico per cui Genova fu allacciata a Torino ed al Lago Maggiore, e attraverso Torino a Susa e Bardonecchia; Torino al ponte della Buffalora sul Ticino a breve distanza da Milano. In tal mo– do il Piemonte, che fino al t848 non aveva che il brevissimo tronco Torino• Moncalieri, era portata con una rapi– dità sorprendente ad occupare il pri– mo posto in Italia, con una rete fer– roviaria organica di uno sviluppo che era di poco inferiore a quello di tutte le altre regioni della penisola som– mate assieme. Nello stesso tempo si creava la prima e fondamentale con– dizione per la rinascita del porto di Genova. Questo risultato era ottenu- . to in larga parte col concorso del ca– pitale francese; ma alcuni lavori impor– tantissimi e costosi, come la ferrovia Genova-Arona e il traforo del Frejus erano fatti completamente a spese del– lo Stato. Per la rinascita di Ge11ovae del· suo movimento marittimo Cavour non si limitò al decisivo miglioramento delle comunicazioni col retroterra. Egli si propose di migliorarne l'attrezzatura portuale con la costruzione di docks e di bacini di carenaggio, con l'incorag– giamento alle costruzioni cli piroscafi con scafo in ferro, ~d alla istituzione di servizi regQlari fra Genova, Caglia– ri e Tunisi, e· fra Genova, il Brasile e i porti del Rio della Plata. Per raggiungere questi scopi non si rifiutò, nonostante il suo liberismo, di conce– dere sovvenzioni alle compagnie di na– vigazione per i nuovi servizi di linea ed ai cantieri per le costruzioni di navi a vapore in ferro adatte al t1:af– fico oceanico. Allo stesso fine di accelerare il mo- · vimento di affari e la circolazione delle merci egli diresse anche la politica bancaria, che non sappiamo in qual misura possa aver accolto l'approva– zione di un intransigente avversario dei monopoli, qual'era Francesco Fer– rara, allora ascoltatissimo docente di economia nell'Università di Torino. Il Ca'vour invece, convinto fautore, con– tro l'opinione del Ferrara, della unici– tà dell'istituto di emissione, promosse la fusione delle due banche di Genova e di Torino, nella Banca Nazionale Sarda, accanto alla quale permise sol– tanto pochissime eccezioni. Soppresso il corso forzoso, elevato il capitale del– Banca a 32 milioni di lire, di cui 12 milioni impiegati in titoli di rendita dello Stato, il Cavour vide nell'istituto di emissione non solo Uno strumento per aiutare lo Stato nei momenti di bisogno, ma per permettere alle ban– che ordinarie, di cui aiutò e sorvegliò la creaziqne ed il funzionamento, di aumentare, col risconto del loro po_r– tafoglio, la loro attività creditizia, con– correndo così a quello che era il mas– simo scopo della sua politica econo– mica e finanziaria, di promuovere in Piemonte ed in Liguria un più intenso e più rapido movimento di affari e di attrarre i capitali a sempre nuovi inve– stimenti nel campo della produzione e degli scambi. Quale fosse in proposito l'idea ispi– ratrice di tutta la politica economica di Cavour risulta - ci sembra - in modo abbastanza chiaro da un passo di una lettera che nel l856 egli scrive– va al sindaco di Genova a' proposito della costituzione, da lui propugnata, con capitali genovesi, li una grande Compagnia di navigazione, che potesse competere col Lloyd triestino e che ge– stisse nello stesso tempo le linee di navigazione, i cantieri, le officine di riparazione, i bacini di carenaggio. Per questa grande impresa, per la quale aveva già presi accordi, oltreché col Rubattino, con le due massime auto– rità dell'ambi;nte bancario genovese, il Bombrini ed il Balduino, egli scri– veva nella lettera suddetta: « si tratta di promuovere il gran moto economi– co, senza del quale è impossibile spe– rare cli uscire dalle difficoltà finanzia– rie». Allo stesso scopo in fine concorreva la sua politica commerciale, intesa, se non a raggiunge~e, ad avvicinarsi gra– dualmente al libero scambio per mezzo dei numerosi trattati di commercio, sti– pulati durante il suo ministero e spes– so col suo concorso diretto, ed ispi– rati, più che dalla fede in una deter– minata ideologia, dalla volontà di au– mentare l'attività degli scambi e con essa tutta l'attività economica del Pie– monte e della Liguria. Che questo tcopo sia stato raggiun– to lo dimostra non solo il fatto chè il piccolo Piemonte poté sostenere senza gravi scosse le spese della prepara– zione militare e della guerra del '59, ma, anche più, che Torino, nonostante il grave colpo del trasferimento della capitale, seguitò ad essere, fino alla crisi del '93, in gara con Genova, il massimo centro bancario e finanzia– rio della nuova Italia. II. La grande industria e la tendenzaal. monopolio. Se al principio della seconda metà dell'Ottocento, nel pieµo trionfo del– l'individualismo economico, delJ'inizia– tiva privata e dell'economia di merca– to, una pianificazione parziale è stata possibile in regime pienamente libera– le, se non del tutto democratico; se nello stesso tempo una pianificazione con le medèsime finalità, ma su scala di gran lunga più ampia, può at– tuarsi in Francia nel primo periodo, dittatoriale, del Secondo Impero, la grande industria che dalla Gran Bre– tagna si è diffusa nel continente eu– ropeo e al di là dell'Oceano negli Stati Uniti d'America e che vi fa i suoi più rapidi progressi fra il 1896 ed il 1914, porta con sé i germi che condurranno 111 breve tempo al tra– monto dell'individualismo. Essi sono: il rapido diffondersi della società per azioni come forma preferita di orga– nizzazione delle maggiori imprese; la forza politica acquistata dalla massa operaia; la tendenza delle maggiori imprese di ogni singolo ramo d'indu– stria a riunirsi in sindacati per domi– nare il mercato e raggiungere posizio– ni di monopolio. La forma dell'anonima assunta dalle maggiori imprese toglie loro a poco a poco ogni carattere individ'ualistico e le avvicina sempre più ad enti pub– blici, in cui l'azionista - il cosidet– to proprietario dell'azienda - non ha alcuna . ingerenza effettiva nella loro gestione, e non ha altro diritto che di riscuotere a fine d'anno quel dividen- 7 do che vorranno assegnargli gli ammi• nistratori. Le organizzazioni operaie più che della lotta al capitalismo si preoccu– pano del miglioramento immediato dei loro soci, e impongono lo sviluppo di una legislazione sociale sempre più am– pia e complessa, per cui la depreca– ta ingerenza dello Stato nella vita del– le imprese si fa di giorno in giorno maggiore. Ma è soprattutto la tendenza al rag– gruppamento delle imprese in potenti sindacati monopolistici che porta il più grave colpo alla fiducia fino allo– ra indiscussa nella piena libertà del– l'azione privata. La tendenza al mo– nopolio delle maggiori imprese, che hanno sostenuto spese ingenti per crea– re o rinnovare le loro attrezzature mec– caniche ed in cui le spese generali raggiungono una proporzione altissima, non è determinato soltanto da sete di guadagno o di dominio, ma in molti casi da una necessità economica, per– ché in un periodo di discesa dei prez– zi essi non possono ricorrere allo stru– mento di difesa a cui normalmente ri– corrono le imprese minori o che ban– no avuto minori spese d'impianto, al– la riduzione cioè della produzione; e devono quindi accordarsi per la dife– sa dei prezzi per non essere costrette a produrre per lungo tempo in pura perdita. Ma in generale il pubblico non vuo– le tener conto di queste giustificazio– ni, e v.ede nei sindacati monopolistici non solo una minaccia per i consuma– tori, ma un grave pericolo sociale e politico, in quanto per la loro ecces– siva potenza essi minacciano di creare un nuovo feudalismo. Di qui la lotta antitrusts, che assu• merà il suo massimo sviluppo negli Stati Uniti dopo la « grande depres– sione », ma che già àvanti la prima guerra mondiale ave.va portato, in vari Stati, alla nazionalizzazione di alcune grandissime imprese per l'eserci– zio di pubblici servizi, oppure ad un controllo assai più rigido dello Stato sulle banche e su altre imprese di pubblico interesse. Siamo ancora lontani dalla piani• ficazione statale, di cui, tolti alcuni scrittori socialisti, non si usa nemme– no la parola, ma si sono andate crean– do le condizioni che potranno in breve condurre al capovolgimento della si– ·tuazione e delle mentalità economiche che avevano dominato nel secolo XIX. Se perciò fin dagli ultimi tre de– cenni del secolo XIX aveva incomin– ciato a perdere terreno 13. persuasio– ne, fin allora dominante, che lo Stato ideale è quello che meno fa sentire la sua presenza e la sua autorità in materia economica; se, specialmente in Germania, aveva acquistato largo ere• dito la scuola del cosidetto socialismo della cattedra, che invocava l'interven– to dello Stato per disciplinare non solo i rapporti fra capitale e lavoro, ma anche altre manifestazioni della vita e dell'organizzazione economica, il col– po decisivo all'individualismo e alla libera economia di mercato fu dato Jalla prima guerra mondiale, e dalla necessità che presto s'impone anche ne– gli Stati più tenacemente attaccati ad una lunga tradizione di libertà econo– mica, di sottoporre. ad una rigida di– sciplina dal centro la produzione, gli scambi ed i consumi. (Continua) Gll\'OLUZZATTO L'ECO DELL! STAMP Ufficio di rila6li da 1iornali e rivist• Dir,ttore: Umberto Frugiuele Condirettore: Ignazio Frugiuele Via Giuseppe Compagnoni, 28 MILANO Corrispondenza: Casella Postale 3549 Telccr.: Ecosumpa

RkJQdWJsaXNoZXIy