Nuova Repubblica - anno II - n. 10 - 20 maggio 1954
2 abitudini e degli interessi paraliz– zati._~on lo faranno, diranno gli s~ett,c,, e avranno purtroppo ra– gione. Ma nulla vieta, all'infuori di quelle abitudini e di quegli in– teressi, che lo facciano. In ogni modo, possono farlo, anche senza impegnare quei partiti, un certo numero di coloro che generalmen– te votano per essi e altri che han– no invece tentato di formare dei movimenti di dissenzienti. Bisogna dare atto a Ugo La Malfa di aver posto questo pro– blema in termini suscettibili di svolgimento, prima con gli artico– li sul Mondo, poi al recente con– gresso repubblicano. Per me, che ho empre avuto, anche nei momen– ti di maggior dissenso, grande Mima di lui, e non ho mancato di dirlo nei saggi sulla Resisten– za e sul dopoguerra, è abbastanza facile riconoscere nel La Malfa uno dei pochi capi politici che po– trebbero ancora mettersi sulla via cl i un rinnovamento democratico. Per altri, capisco come ciò sia, psicologicamente, più difficile. Ma se vogliamo vincere gli ostacoli che si ergono di fronte a noi, dob– biamo saper vincere, in linea pre– liminare, i risentimenti e le pre– venzioni che albergano in noi. Nessun altro ha posto recentemen– te, con tanta chiarezza e anche risonanza, come La Malfa, l'ur– genza di uscire alla luce del sole, stringendo tutte le energie desi– derose di effettivo progresso so– ciale, attuato nella libertà, in una Lega democratica affine a quelle che, dopo la fine del Risorgimen– to, hanno cercato, e in misura no– tevole sono riuscite, a tradurrre gli ideali politici e sociali, che la vittoria della monarchia sembrava aver sconfitti, in orientamenti pra– tici di opinione pubblica e, debel– lata la reazione, in attività di go– verno. Non soltanto, ma è lo stes– so La Malfa ad avvertire dove stia la differenza, importante quanto se non più delle affinità, dalla battaglia post-risorgimentale. Al– lora, il cattolicesimo era l'avversa– rio principale. Oggi, una parte di esso ha da trovarsi fra gli alleati. Non sono sicuro, non avendolo la Malfa esplicitamente detto, che egli abbia bene identificato quella parte del cattolicesimo con la qua– le fa d"uopo sostenere il colloquio. Finché non l'avrà smentito, non si potrà escludere che pure in lui alberghino risentimenti e preven– zioni, o semplicemente la comoda tendenza al minor sforzo, che già fece preferì re non soltanto De Ga– speri, ma persino Pella, Gonella e Andreotti a Dossetti. Comunque, vorrei ricordare che se La Malfa ha ragione di proporre che si cer– chi di introdurre in Italia qualche cosa delle esperienze laburista e roosevcltiana, anziché attardarci a contrapporre massimalismo sociali– sta a massimalismo capitalistico, e se è pur vero d1e fu precisamen– te questo il programma economico– ~ociale del partito d'azione, dopo la dissoluzione di quest'ultimo, ta– le programma non fu sostenuto da nessuno con energia pari a quella di Granchi da un lato, Dossetti. Fanfani, La Pira dall'altro. La no– biltà, ma insieme il limite, se si vuole la tragedia del partito d'azio– ne era di essere parte integrante dell'antifascismo internazionale, di appartenere esso stesso all'orienta– mento rooseveltiano. Accadde così che il programma del partito d'azione, che tante speranze aveva suscitate nel periodo della cospira– zione e della Resistenza, apparisse al paese, dopo la Liberazione, come frutto di terra e clima stranieri, gravato per di più dal discredito in cui, disgraziatamente, la politica di Roosevelt stava per cadere, o era già caduta, in quel momento. Al rifiuto oppostogli dai gruppi meglio organizzati della società nazionale, il partito d'azione non resse e molti se anche non tutti dei suoi componenti tornarono, co– me da ogni parte si consigliava lo– ro di fare, alle ideologie e ai parti– ti tradizionali : chi al marxismo, massimalista o riformista o stali– niano, a seconda delle preferenze, chi al mazzinianesimo ufficiale chi al mazzinianesimo ufficiale, chi al liberalismo radicaleggiante di Nitti o di Giolitti. Il programma economico-socia– le di Roosevelt, Bcveridge. Gripps fu reso allora più italiano, più conforme alle tradizioni della società nazionale, naturalmente an– che meno idealistico e antifascista, dalle frazioni di sinistra della de– mocrazia cristiana. Non furono mai e non sono neppure oggi le sole :t propugnarlo. Saragat e Tremello– ni l'hanno fatto e continuano a farlo, con maggiore o minor vigo– re, ma se contro gli azionisti c'era la prevenzione dell'importazione anglo-sassone, contro i socialisti democratici c'era e c'è la prevenzio– ne verso l'origine marxistica negli uni, verso lo scissionismo negli al– tri. La sinistra cattolica ha dovuto e deve superare i veti delle gerar– chie ecclesiastiche, ma contro di es– sa l'opinione pubblica non ha pre– venzioni uniformi, capaci di bloc– carne l'ascesa. La osteggiano gli in– teressi capitalistici, ne diffidano le gerard1ie e per motivi opposti, e non a torto, i ceti colti laici, ma il grosso della nazione non è .re– frattario a subirne le direttive. I comunisti E il partito comunista? Si pubbli– cano inchieste a getto continuo sul suo conto. Si citano a proposito e a sproposito Marx, Lenin, Stalin, nonché le circolari interne riserva– te agli attivisti. Forse basterebbe rileggere alcune pagine di Gramsci e di Togliatti, specialmente di que– st'ultimo dacché la personalità di Gramsci è troppo ricca per poter servire di misura alle cose contin– genti dell'oggi. I, vero quello che dice Togliatti, la ragione dei pro– gressi del partito comunista è nel– l'essere diventate cose sue la tradi– zione di classe del movimento ope– raio insieme sindacale e politica– mente sociali ta, la tradizione po– litica dei governi liberali di sini– stra dal 1900 al 1920, che avevano cercato di portare la classe operaia socialista a responsabilità di go– verno, le reviviscenze naturali del– l'anticlericalismo del Risorgimento, il patrimonio della Resistenza, che i comunisti sono qua i i soli a difendere, nei diritti morali e pra– tici del partigianato, in quella co– munanza fra uomini di diversa fe– de p. es. laici e cattolici, che fu uno dei tratti più nobili della Re– sistenza medesima, e in quella fi– ducia anche spavalda di saper rap– presentare l'indipendenza dell'Ita– lia di fronte alle grandi potenze occupanti, nemiche o alleate che fo sero, che assicurò in effetti il successo della guerra partigiana. Coloro cui dispiace che i comuni– sti si siano potuti impadronire di tutte queste tradizioni o le abbiano avute in eredità, molto spesso non hanno che da accu~re se stessi, avendole con leggerezza abbando- NUOVA REPUBBLICA RUDERI elerleall A POMPEI I L 4 11/1rile,111imuri di Pompei /11,-0110 11//iui dei 11umifes1i11i, uei q11({/i il f,m.,.oco G'emlflrO Cttro1e11u- 10, additava alla cilladimmzo il ptuJore et 1 tmgelico VnllKOlle, guardia ro11111,ude del /11ogo, quale pe,.101111 11 1e11za.ur11- po/i e unz,, linea". E to11tin11a,·,1: "Jla11go11e111a11git1 1 011 so tome i 10/di del C(Jmtme''. Ed i1111it,11·" "chi di do– rere a pre,1dere ,0111ro di lui 1everi pro: 1 edi111e111i, da10 che il Va11go11e fa propt1ga11da e:•angtlira e offende la par– ticolare fiJio110111ù1 ra110Jit,1 della <i/la– dine sede della 111ir,l(o/01a J\lado1111d'. F11ro110 diJ1rib11iJi anche 1•0/a111i11i fi,. mali "1111.1 111,1111,n,1 ra11olicd'',che dice- 1•a110: "Fr,1/l'lli pompeiani, 11011uJale pi,ì il pibiga1 -li T011i110 Vm1go11ep,r. ché morre1eaJfiuia1i. U1,11e il Liq11iga1, Agipgm, Ellepig"1, Fla111i11ag"1. Faie r•frere i 1•011,i ,wlÌri e nou i vo11,i nemU1'. ncauolici pompeùmi, 11011 compr111e /JÌIÌ i gio,·11t1/i al chiosco Ca- 11ie/lo, perché wrete ,1111ele11tlli. Pornite– l'Ì presro la /11bauherù1 A11i110 oppure preuo il gionwlaio della 1•e11111imul'. li ro/1110 /11 ""'o d'al 1•oitl111i110 rhe qui riportiamo. lo 11011 .sono gi11riJ1a. Afa a occhio e uoce direi du quel parroco di Pom– pei, cercando di ridurre alla fame 1111 ri11adi110i1aliano 10/ perché 11011 è wlloliro, abbia t io/a/o '" liberJà reli– gio1a, commellendo IIH reato bello e b110110, e che quella "mamma callolica'' nate se non ripudiate. Fra poco anche la tradizione, che malgrado le sue delusioni ricordano con no– stalgia decine di milioni di uomini, della politica rooseveltiana, volta al!' accordo con tutte le ideologie e forze moderne, fuor che l'hitle– riana, farà parte integrante del comunismo, d,e ha cominciato a rivalutarla da quando oltre Oceano, nella sua patria d'origine, essa viene ufficialmente considerata co– me sinonimo di abbiezione. la quale ha au111alo 1111a le1•:11rire di avvelenare e in/ellare i bambini per– ché non è callolica, ht1 ,ommesso "" reato anche pi,ì rivol1a111e. Ho lei/o 111/"Nuovo Gior11a/e"di Firenze, 23 <1prile,rhe il paJJore pro– te1ta11tedi Po111J1ei ha de111mcia10al gi11dice istrullore quei foglieui, e i11• 1t111to "di fro11te a 1,mgui11osii11cide11• ti, ha allo111,111a10 d"lla ciluì '" /il'O/!IÙI moglie''. Che co1a 1'oglio110 di,-, q11ellc due parole "di fro,11e': 11 /Jer paura" o 11 11el/'i111111i11e11zK 1 ~ Poto impor/ti. Quel che imporla è che '"'" tfo1111a è co1trella a lauù1re una ri11,ì, i11 rui 1•orrebbe 1•ivere, perrhé non profeua /,1 religione canolica. Sarebbe i111ereJJa11/e 1apere ,he ro1a ha .fallo il giudice iI1ru11orei111eg11i10 alla denu11riadel paJIOreem11gtliro e tura sov1et1Ca. Nessuna en1anci– pazione dei comunisti dalla Russia è visibile finora, malgrado sia pas– sato più di un anno dalla morte di Stalin. Si pone invece con ur– genza, il problema dell'emancipa– zione. del proletariato da una leg– ge d'inerzia, formata dal dogma– tismo, che affosserà la democrazia. Bisogna dunque scendere nel paese, come fanno i comunisti, co– me fanno i militanti del cattolice– simo sociale, in dialogo con loro se l'accettano, in polemica se non l'accettano. Non bisogna mai di– menticare che la polemica stessa, per riuscire utile, deve avere dei limiti. Il comunismo è nostro av– versario per il suo dogmatismo to– talitario, ma non per le sue radici sociali né per le sue idealità origi– narie che alcuni di noi potrebbero anche, senza vergogna, condivide– re. Sarebbe nostro nemico il gior– no che tentasse di instaurare la sua dittatura. Fino a quel giorno è pur sempre uno dei partiti di quei la– voratori, di quella gente povera, cui noi stessi dobbiamo fare appel– lo. Non ci è lecito perciò metterlo sullo stesso piano del fascismo, che è invece il partito, non il solo par– tito ma certamente il più pericolo– so, delle forze che ci sono irridu– cibilmente nemiche, siano al potere o all'opposizione. A maggior ra- Se potesse far propria anche la pacifica rivoluzione economico-so– ciale rooseveltiana e laburista, il partito comunista diverrebbe irresi– stibile proprio sul terreno demo– cratico, della conquista pacifica del paese. Questo però non può farlo senza cessare di additare come mo– dello l'economia russa staliniana. Qui è il suo limite. Stalin ha com– piuto ben maggiori operazioni di Roosevelt e Cripps, tanto per carat– terizzare ancora i movimenti con i nomi dei loro protagonisti, ma l'ha fatto con metodi e risultati ai quali quanto meno i paesi del– l'Occidente sono giustamente as– sai riluttanti. Proprio perché la libertà fu calpestata in Russia per motivi in origine economico-sociali, è sul terreno economico-sociale, nel disprezzo della riforma occidentale moderna (e dell'integrazione co– smopolita che si fa lentamente stra– da in Occidente), che il partito comunista si rivela più illiberale e respinge gli strati sociali più pro– grediti, più illuminati, che altri– menti forse lo farebbero vincere. I comunisti stessi se ne rendono conto, come si vide qualche anno fa, con il piano della C.G.I.L., che pure adottava più i difetti (infla– zionistici) cl1e non i pregi delle tecniche occidentali di espansione economica, ma tuttavia bastò a de– stare interesse ben al di là delle abituali sfere di penetrazione della propaganda comunista. Ma per quanti sforzi facciano, i comunisti non possono mettersi alla testa della moderna civiltà occidentale, d1e è sintesi di cristianesimo, libe– ralismo e socialismo non dogmati– ci, senza emanciparsi dalla ditta- . gione, mentre ci accade e ci acca– drà di trovarci in pòlemica and1e con il cattolicesimo sociale, non dobbiamo dimenticare che oggi co– me oggi è solo nelle sue file che noi possiamo trovare alleati. Scendere nel paese Noi chi? Non ha certo ,alcuna veste, lo scrivente, per parlare a nome anche di una frazione sol– tanto dei partiti o movimenti di de– mocrazia laica. Non è neppure so– stenibile che noi siamo dei laburi– sti o dei rooseveltiani. Vorremmo che in Italia penetrassero quei fer– menti, quelle realizzazioni, quelle esperienze, quei metodi, perché sia– mo convinti che farebbero per in– tano progredire l'economia nazio– nale e darebbero una base più salda Di Lorenzo f.gta, rhe ro1a hanno fallo i rar.1bi11ieri per 1,oprire rhi è quella u mamma r.1110/i. r,1 1 ali,, q11.1/e 1i de, e il 1·ola11ti110 de• li1111010 q11i10pra riprodollo. E anche Jarebbe i111ereH.mteJ,1/1e,·e Je e q11,1/iis1r11zio11i abbia dato /'011. Scelbt1 agli age111idella fo1zt1 p11bbli– c<1pe.-ché 11e.-gog11e di queJIO genere 1ie1101co111iglia1e ai /Mrrori, e 1ie110 i111media1ame111e ,· preJJe qmmdo auu• 11umoforme rrimi1101e. E 1arebbe i11tereJJ(lll/e1.1pere Je i famosi "laici 11 11011 ba11110 proprio nie,,. te da dire 111 falli rome q11ello di Pompti. la libertà, rhe eJJi i11te11• do110 difendere. è /J 10/.1 liberJii di euere antico1111misti a ser, izio del prof. Gedda e dei 1uoi md eri clericali? GAETA!\"0SALl'E.111111 alla democrazia italiana. Ma non pensiamo che quelle realizzazioni e quei metodi rappresentino la so– luzione integrale della crisi della società italiana. Quei rinìetli, che sono il prodotto di un maturo ri– formismo statalista, non possono curare le malattie che la società ita- 1 iana ha contratto da quando, si è scostata dalla via maestra dello sviluppo liberale. Possono curare soltanto le malattie cicliche d1e l'economia italiana ha in comune con ogni economia bisognosa di un alleggerimento del mercato in– terno. La cura radicale della so– cietà italiana non può venire invece che da questa società medesima, dalle sue energie recondite. oi siamo quegli eretici del ceto me– dio intellettuale, che vogliono rein– tegrare, reinserire questo ceto nei muscoli e nelle visceri della socie– tà nazionale, ripnirlo col popolo, col proletariato. Siamo pochissimi oggi, a meno di dieci anni dalla Liberazione. Saremo moltissimi fra meno di altri dieci anni. I, dubbio soltanto se lo saremo in libertà o sotto una nuova tirannide. Ed ecco la mia propo ta. Scen– dere nel paese, come si suole in de– mocrazia, dacché le libertà demo– cratiche sussistono ancora. Tenere città per città, in attesa di riuscire a toccare i villaggi, convegni che abbiano lo scopo esclusivo di di– battere questi temi. Abbiamo taciu– to a lungo, ora dobbiamo parlare, conoscerci di nuovo, conoscere gen– te nuova. Dire le cose come stan– no, con duro e, se occorre, spietato realismo. Ma cercar sempre di di– stinguere, a costo di qualsiasi de– lusione, l'avversario in buona f edc dal nemico in malafede. Comincia– dal centro, da Roma, da Milano, da Firenze, scendere per le province. Mantenere l'organizzazione dei convegni saldamente nelle mani di coloro che credono nella libertà, ma ammettere al dibattito chiun– que rispetti le regole dell'educa– zione democratica. Vedremo• più tardi quali forme federative scatu– riranno dai dibattiti. Per il mo– mento, importa cominciare. 1,EOVAMANI
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