Nuova Repubblica - anno I - n. 21 - 5 novembre 1953

6 IL RAGAZZO e l'uccellino T EMIAMO che tutta la faccenda di Trieste sia stata trattata, nel– l'opinione pubblica interna, con una così singolare insincerità; e, nella tecnica diplomatica, con una così grave approssimazione, da essere ora neces– sario, per veder chiaro nella · possi– bilità di una politica estera italiana del prossimo avvenire, fare il punto, -con qualche crudezza, dell'intera questione. Esiste una responsabilità del governo Pella, di aver inabilmente rimosso Je acque della questione triestina, acque sulle quali il precedente indirizzo De Gasperi • Sforza aveva stesa la grande macchia d'olio dell'europeismo e del– l'atlantismo' E dipeso dall'Italia, sotto il Ministero Pella, se il fatto è di– ventato improvvisamente acuto? - Dal punto di vista della cronaca, forse, sì. fu la nota della Ta11j11g, che infine non è la voce ufficiale del go– verno di Belgrado, e che poteva pre– starsi ad equivoci, a provocare, da parte del Governo italiano, una mossa drastica, quella di uno spostamento di truppe, che non era punto necessaria, e che Tito in cerca di una provoca– zione nazionalistica, ha salutato come un invito a nozze, che gli permetteva di far valere dinanzi alla opinione in– ternazionale e interna un'estrema istanza nazionalitica, di perfetta attualità elet– torale per lui, e, comunque, ritenuta vantaggiosa ai fini di un definitivo e riconosciuto ingrandimento territoriale. C'è stata da parte del gpverno italiano una . imprudenza nazionalistica, nella adoz10ne di misure militari non neces– sarie. Queste cose, cioè la giusta misura nella difesa del prestigio nazionale, te– nendo il registro piuttosto abbassato anziché stentoreo, c'è chi le sente e chi no. Jn questo senso, sono certo più preparati i De Gasperi e gli Sforza, i così detti « rinunciatari », che gli uo– mini della seconda generazione, quando la loro formazione provenga dalle file del fascismo, o dei consenzienti al fa. scismo. Per la cronaca, dunque, ingenuità del Governo; per un più approfondito esa– me dei fatti, crederemmo tuttavia che l'on. Pella sia piuttosto la vittima che la causa dell'aggravarsi della tensione e del problema del TLT. Quando Foster Dulles ha rifatto la storia più recente della questione triestina, ha riconosciu– to che il Pentagono, uditi gli uomini della missione militare di Tito, si era persuaso che fosse ormai venuto il momento di tagliare il nodo gordiano di Trieste. Che cosa sia passato, tra generali americani e jugoslavi, noi non sappiamo: ma ci sembra abbastanza probabile che Tito e Pella siano stati mossi dagli americani e dagli inglesi, più o meno o punto consapevolmente. ad acutizzare il conflitto, per portarlo verso una soluzione. li nuovo Presidente del Consiglio italiano aveva bisogno di rassodare la sua posizione parlamentare: nessuna trovata migliore, che quella di fondarla su un complesso di problemi più pro– fondi e più diffusamente sentiti che non quelli di tecnica parlamentare, e pur nella osserrnnza perfetta delle for– me parlamentari. Quaiido non si rie– sce a forn~are un governo parlamen– tare, e si è, da questo punto di vista. un governo interinale, si attinge il consenso ad un livello più profondo e più generico: a sinistra questo livello si chiama della « classe »; a destra, si denomina della «nazione». Pella ha cercato il consenso della nazione. I deputati « nazionali » sono quelli mo– narchici e missini; ma quelli della «classe». nenniani e comunisti, non sono più alle prime armi del primo decennio del secolo: sanno benissimo come si .fa a sospingere un governo di centro-destra a bruciarsi sul suo proorio terreno. Pella doveva muoversi sulla linea su cui si è moSso, delle mi 4 sure militari: il suo atto di energia a breve orizzonte doveva servirgli a met– tergli dietro, definitivamente fedelissi– ma. la destra, e a fargli infilare un trabocchetto donde non sappiamo come uscir:i. Parlare del nazionalismo di Tito d'altra pJrtc. sarebbe un così futil~ \ luo~o comune. che si arrischierebbe solo n di dilungarsi in banalità. Vale tuttavia la pena di insistere su un punto: che lo Stato jugoslavo è un'amalgama di storie nazionali troppo recenti, per non avere bisogno di un più alto punto di fusione; e che una nuova classe dirigente ha bisognò di raffor– zarsi con prove di forza e di energia. E una classe dirigente che si afferma proletaria, e che crede, buona o mala– fede che sia, di ave.re non solo ra– gioni « nazionali », ma « sociali » di riven~icare il Territorio Libero, dove gl'italiani sarebbero stati per tanti e tanti decenni i « signori >>, e gli slavi, gli « schiavi ». Uomini e governi di questa, base interna erano i più difficili da mette– re d'accordo, ma i più facili da « lan– ciare », per i generali americani e per i diplomatici inglesi. Per gli uni e per gli altri, il lato sud-orientale dello schieramento atlantico presenta un vuo– to pericoloso. Che poi inglesi ed ame– ricani abbiano agito con una precipi– tazione e approssimazione madornali, si capisce abbastanza pensando a quale tormentata revisione sia sottoposta la strategia atlantica, da quando la com– parsa della bomba sovietica all'idro– geno ha messo a scompiglio tutti i precedenti piani. Molto giustamente scriveva pochi giorni addietro Walter Lippmann, che, per quanto la strategia atomica possa rivoluzionare tutti i con 4 gegni di una difesa e di una offesa di guerra, vi sono tuttavia « chiavi » non attaccabili con le armi nucleari: quella di Trieste è di questa categoria; non si poteva più a lungo lasciarla inefficace o pendente. L'urgenza di una soluzione, ha precipitato gli anglosas– soni a provocare una soluzione, a smuo 4 vere, circostanze interne soccorrendo, Belgrado e Roma. * Torniamo a Roma; perché è l'on. Pella, è l'opinione italiana che .ci in– teressano. L'on. Pella è stato magna– nimo; ha mosso le truppe; ha chiesto un plebiscito, che in termini morali è la più alta e dignitosa prova, per fondare l'assegnazione di un territorio all'yno o all'altro Paese; ha chiesto un conferenza internazionale per sta– bilirne le norme. A questo punto, però, gli anglosassoni, che avevano già in pectore la proposta, nota a tutta /' opi– uioue mondiale, di sostituire la sparti– zione del TLT alla « tripartita », han– no replicato con la promessa dell'B ot– tobre. Le richieste magnanime di Pel– la sono state completamente ignorate. Noi non sapremo mai se I' on. Pella sia stato messo larvatamente su l'avviso di quello che stava accadendo. Quello che stava accadendo, secondo la descri– zione di un uomo di spirito, era semplicemente questo. Si prendeva per mano un ragazzo, e gli si diceva: guar– da l'uccellino, lassù; il ragazzo si di– straeva un momento; quando il suo sguardo si posava di nuovo sul tavolo, la «tripartita» non c'era più; al suo posto, c'era un altro cartellino, la «bipartita». li ragazzo stendeva la mano, e, « no! », lo si ammoniva in questo momento: « devi prima accor– darti con il tuo vicino; altrimenti que– sto se la prenderebbe con noi, e noi non vogliamo altre noie». Il fatto è che neppure al Parlamento inglese si è davvero chiarito se l'Italia sia stata o no preavvertita che la bipartita esclu– deva la tripartita. Ma certo l'on. Pella assicurò il Parlamento italiano che nes– sun giochetto aveva avuto luogo, e che la bipartita era un primo pezzo della tripartita. Col passare dei giorni,. l'on. Pella non ha perduto un'ombra sola della sua nobiltà. Fermo e duttile, plebisci– tario o non plebiscitario, egli è rimasto fermo alla accettazione e alla realizza– zione della promessa dell'B ottobre co– me attuazione ·parziale e promettente della tripartita 1 e con. un·unica, ma im– possibile, alternativa, quella del plebi– scito. Senonché, nessuno in Italia crede più che la « bipartita » è, come affer– mava il nostro Presidente, il promo at– to della, tripartita. Non solo: nessuno, in Italia, crede più che le cose andran– no nell'ordine previsto dal Presidente: piena realizzazione della promessa del- 1'8 ottobre, prima di una Conferenza a Cinque o a Quattro. Si dovrà ricor– rere a<l una finzione, quella di un pro- neo NUOVA REPUBBLICA cesso preparatorio alla immissione ci– vile dell'Italia nella zona A, durante il quale si svolga una conferenza a Cinque. E oggi l'unica soluzione prati– cabile, alla quale si accompagna una sola, ma vacua, alternativa: quella di non accettare nessuna conferenza, e di lasciar passare dell'altro tempo, forti della << bipartita » come lo si era, sino all'B ottobre, della« tripartita»: di qua le forza si tratti, tutti lo sanno, né occorre dilungarci a spiegare. Ma quello che ora ci interessa dedur– ne, è questo: quale politic,, estert1 resta da fare al/ 1 /t1dù1, sia nella prima alternativa, sù, nella seconda, e cioè: sia che si vada ad una Conferenza giu– liana senza nulla in mano, senza la famosa « parità » promessa da Pella; sia che non ci si vada, perché alla « parità » gli alleati non abbiano dato soddisfacente corso' Nel primo caso, il nostro Paese avrà dato ancora una volta una prova dì inettitudine, la più grave: quella cli chi parte su piede nazionalistico, • per retrocedere con un balbettamento di ·compromesso: quanto occorre per non resistere a nessuna imposizione, sia questa atlantica o cedista, o an– che semplicemente di un concorrente in nazionalismo. Nel seconçlo, le cose saranno ritornate esattamente al pun– to di insabbiamento nel quale si tro– vavano quando Pella salì al governo, solo che allora, documento per docu– mento, avevamo la tripartita, in ,nano, anziché la spartizione. . Naturalmente, ~ogliamo essere ab– bastanza · leali verso l'on. Pella, da concedergli una terza via, quella del successo: e cioè che Tito accetti la conferenza a Cinque solo dopo il pas– saggio di tutti i poteri in zona A al nostro Paese. I dittatori non sono quasi mai realisti: ·t'ito potrebbe es– sere un dittatore d'eccezione, quale occorre alla nobiltà del Governo ita– liano. Vorremmo sapere tuttavia quali prove ha in mano il nostro Governo, a) per credere al realismo e all'alto spi– rito di compromesso del governo di Belgrado; b) per credere che tra i due pazionalismi, quello italiano e quello juslavo, gli anglosassoni rispettino più il primo che il secondo, e pieghino il secondo a riconoscere il buon diritto del primo. Ma. se concediamo volentieri, in via di ipotesi, ogni fortuna al Ministero Pella e a Palazzo Chigi, vogliamo tuttavia essere pessimisti sino in fondo, e ripresentare la nostra domanda: qua– le politica estera, in caso di insuc– cesso? Ognuno vede. che si presentano due vie possibili: I) dirottamento della politica atlantica e cedista. 2) attiva ripresa della politica atlantica e cedista. A svolgere la linea (a), nessuno pre– tende.rà che possa essere la Democra– zia Cristiana, che pensa e vuole esat 4 tamente il contrario. Potrebbero essere solo o le destre o le sinistre; ma nes– suna delle due ali può da sola formare un governo in Italia. · A svolgere la linea (b), potrebbe essere la Democrazia Cristiana, con i partiti minori di centro democratico. Ma a rendere straordinariamente diffi– cile una nuova formazione centrista, avrebbe contribuito proprio l'on. Pella, guadagnando a sé la destra democri– stiana e d'azione cattolica e allargando · così il fosso della D.C. dai « minori ». E quanto alla eseguibilità di quella po– litica estera, da qual punto dovrebbe essere ricominciata daccapo? Esattamen– te da metà, almeno, della via. che. bene o male, Sforza e De Gasperi avevano faticosamente perco.rso in buo– ni sei anni di lavoro, almeno dal lan 4 cio del piano Marshall iri poi. Giac– ché ripartiremmo, questa volta, come coloro che hanno disturbato il patto Atlantico e lo tengono scopertamente in crisi. Si deve fare, di tutto questo, una ·colpa a,I Governo Pella' Non pensiamo neppure per un ·mo– mento alla mala fede degli uomini. Pensiamo tuttavia che prima di met 4 tere in movimento i soldati per farsi poi giocare con lo scherzo dell'uccelli– no, sarebbe stato necessario domandare se non proprio cli vedere ruccellino sulla tavola, almeno di sentirlo pi– ~olare. JI governo italiano non aveva forse preso questa misura di pruden– za. li paradosso è poi che oggi si pos– sa credere magari, che· chi gliene fa rimprovero, sia lui il nazionalista; e Pella, invece, il moderato, il signor cortese. il fle,nmatico, l'uomo nuovo della diplomazia del co,npromesso. Ma così va la cronaca. e non ci pos– sia,n10 fare proprio m11la. INVESTlMENTI ·pubblici D A ogni parte si invoca una politica di maggiori inve– stimenti, come l'unico mez– zo efficace per aumentare la ri– chiesta di mano d'opera, e pro– vocare con l'aumento della pro– duzione anche un incremento del potere d'acquisto, che finisca col moltiplicare le occasioni d'im– piego. Ma i dubbi e le divergen– ze di opinioni si manifestano quando si tratta di decidere se i nuovi investimenti debbano es– sere affidati all'iniziativa privata o debbano essere l'opera degli enti pubblici, se - in altre pa– role - si debba ad essi proce– dere, come è sempre avvenuto nel passato, col risparmio 'libero oppure col · risparmio forzato, cioè con l'imposta progressiva sul reddito o con la dec;urtazio– ne dei dividendi in misura tale, che permetta alle mag.,.iori im– prese l'autofinanziamento. Per ciò che riguarda !'Itali;;,., in un articolo obiettivo e larga– mente documentato, che il « Mal– graw Hill Digest » di settembre dedica alla nostra situazione e ai nostri problemi econ_omici e in cui è preso soprattutto in esame il problema degli investimenti, considerato come il problema fondamentale della nostra econo– mia, si calcola che la spesa ef– fcttuata ai fini produttivi nei vari settori (agric;oltura, industria, tra– sporti ecc.) sia stata nel periodo 1948-52 cli circa 14 miliardi di dollari ( = 900 miliardi di lire).. Dedotto il 42% - stanziato per la manutenzione e l'ammorta– mento degli impianti - restano 8, 1 miliardi° cli dollari, cli cui 5 investiti dal go~erno con le ri– sorse del bilancio e ciel fondo lire e soltanto 3 di investimenti privati (in media 600 milioni cli dollari ogni anno): cifra che ap– pare anche più bassa, quando si confronti coi progressi manife– statisi negli t,JJtimianni nel cam– po dei risparmi, saliti ·nello stes– so periodo da circa 800 a più di 1.500 miliardi di lire (2,3 miliar– di di dollari). In apparente contradizione con questi dati possono sembrare quelli dei finanziamenti delle a– ziende industriali gestite clall'IRI, le qu.ali, secondo la Relazione che accompagna il bilancio 1952, risultano, per il quadriennio J 949-52, distribuite nel modo se– guente (i dati si intendono in mi– liardi di lire): S eltori lri Mercato Elcttr. e radio 18,8 79,8 Telefoni 3 27,5 Armamento 33 60,6 Siderurgia 39 72,6 Vari 6,3 6,8 Meccanica 76,1 I7,2 Tolto infatti il settore mecca– nico, in cui, per la situazione di– sgraziatissima cli tanti opifici, il capitale privato è restio dall'in– tervenire in qualunque forma, e l'onere dei finanziamenti ricade quasi totalmente sullo Stato, nel complesso im·cce degli altri set– tori l'apporto elci mercato supc, e •• • prrvat1 ra di ·quasi due volte e mezzo quello dell'IRI. Ma in realtà questo .apporto, abbastanza con– siderevole, non è costituito se non in piccola parte da liberi inve– ~timenti di risparmiatori, che vo– gliono affrontare i rischi dell'im– presa : nella parte mao-giore si tr~tta cli obbligazioni che assicu– rano un interesse annuo ciel 6 o 6,50 per cento, e _chein generale sono garantite dallo Stato. Indici dell' economi I dati si riferiscono rispettiva– mente al 1938, al 1951, al '52 e al giugno del '53. Produzione industriale_ 100 - 138 - 142 - 152. Produzione industriale dell'acciaio (medie mensili in migliaia cli tonnel– late) 193,57 - 255,25 - 294,59 - 288. Produzione industriale di energia elettrica (medie mensili in milio'ni cli Kwh.) 1295,3 - 2.374,9 - 25ll,5 - :668, Mer-· ce trasportata dalle FF. SS. (me– die mensili in migliaia di tonn.) 4526 - 4324 - 4344 -( ? ). Indice dei prezzi all'ingrosso 100 - 5581 - 5270 - 5250. Impor– tazioni (medie mensili in mi– liardi cli lire) 0,94 - 112,88 - I20,48 130,9. Esportazioni (medie mensili in miliardi di lire) 0,87 - 85,79 ~ 72,02 - 73,4. Circolazione Banca d'Italia (fine anno o mese, in miliardi cli lire) 18,95 - 1291,8 - 1381,5 - 1287,4 (luglio). In questi dati che riguardano solo alcune manifestazioni, per quanto assai importanti, dell'at– tività ·economica nazionale, ap– paiono abbastanza confortanti le cifre della produzione siderurgi– ca ed elettrica, gli indici dei prez– zi all'ingrosso, che dopo la rapida ascesa del 1951, si sono mante– nuti pressoché stazionari; e - re– lativamente confortanti - quel– le della circolazione della Banca d'Italia, la q\lale dopo aver avu– to nel '50, '51, '52 un aumento preoccupante, accenna ora a sta– bilizzarsi, purché non debba se– guire un nuovo cammino ascen– dente, come spesso avviene,_negli ultimi mesi dell'anno. Ma il freno posto all'aumento della circolazione è in ogni caso controbilan<è,iato dal sempre più grave peggioramento della nostra bilancia commerciale : mentre le nostre importazioni continuano ad aumentare, le esportazioni si mantengono, press'a poco, al li– vello più basso rao-giunto nel 1952, in modo che il deficit rag– giungeva nel giugno del '53 la - cifra altissima di 57,5 miliardi di lire: tale eia destare gravi preoccupazioni sulla possibilità di mantenere la stabilità dellai> moneta, e eia dare un indice quanto mai significativo delle dif- · ficoltà che attraversano la stra– da di alcune delle nostre più vec– chie industrie, che impiegano una lnn;hissima mano d'opera. GINO t.111.ZA 1' TO

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