Nuova Repubblica - anno I - n. 19 - 5 ottobre 1953

15 gior·nl nel fflondo LACOMUNITÀ POLITICA EUROPEA L E istruzioni date dal Quai d'Or– say alla sua delegazione alla recente Conferenza dei sosti– tuti dei sei ministri degli ('Steri della Piccola Europa hanno minacciato, per un momento, di silurare i due principi fondamentali sui quali ri– posa la costituzione di una Comu– nità Politica europea: un'assemblea eletta direttamente a suffragio uni– versale e un esecutivo responsabile davanti a quest'assemblea. Le istruzioni date in un primo momento dal Ministero degli Esteri francese, all'insaputa del Consiglio dei Ministri di quel paese, miravano semplicemente a silurare il progetto di assemblea per sostituirgli un'as– semblea eletta a suffragio indiretto dai sci parlamenti nazionali; e, fino all'ultimo, si è temuto che la dele– gazione francese esigesse la forma– zione di un esecutivo designato dai sei governi non responsabile davanti all'ass'emblea. Che la vittoria schiacciante di Adenaucr in Germania facesse riflet– tere molti sui rischi di una unità do– ve il posto della Germania, di quel– la particolare Germania, che ha avu– to il suo < 18 aprile > il 6 settembre scorso, era naturale; ma era assurdo che da queHa vittoria si traesse come conseguenza il siluramento proprio di quella parte del programma fede– ralista che è maggiormente accetta• bile da tutti e che costituisce ormai l'unica possibilità d'impedire la ri– nascita del nazionalismo tedesco. I.n..r,i;_al\à.-.li!c nuova p<lSizionc,.frallic erse. che il Quai d'Orsay cercò di elaborare alla chetichella, partiva da una duplice serie di considerazioni: la ricerca di una formula brillante di compromesso, in cui Bidault è maestro, che accontentasse tutti i so– stenitori dell'attuale governo, dai fc. deralisti come Teitgen, Mutter e Rey– naud, ai gollisti ortodossi e dissidenti, che sono sempre più ostili ad ogni idea d'integrazione europea;. e, d'al– tra parte, la volontà della diplomazia tradizionale di tornare ai vecchi sche– mi nazionalisti, improntati a una concezione politica di potenza e di grandeur française che non esita a cercare nuove formule d'equilibrio, magari in un ripristino dell'alleanza franco-sovietica, pur di non dover affrontare i problemi di fondo che pone la convivenza in Europa con il popolo tedesco. Le prime direttive del Quai d'Or– say suscitarono una tempesta in se– no al Consiglio dei Ministri, che fu convocato appositamente per defini– re con maggiore serietà e con mino– re spirito d'improvvisazione la po– sizione della Francia, e furono se– guite da direttive più moderate, in cui il principio dell'assemblea elet– tiva eletta a suffragio universale era mantenuto e in cui rimaneva nel ge– nerico solo la formula relativa al co– mitato esecutivo. Le preoccupazioni francesi non era– no tutte prive di fondamento ma bi– sognava saperle valutare saggiamen– te e trarne le giuste conseguenze. La vittoria di Adenauer in Germania deve a giusto diritto essere causa di preoccupazione; ma fino a un cer– to punto. Dicevamo che è il « 18 aprile > tedesco: e come il nostro ha dei lati positivi e dei lati ne– gativi. Un primo lato positivo è la scon– fitta dei nazisti, quasi scomparsi dal– la scena elettorale tedesca; un secon– do, forse non meno importante, è la piattaforma di politica estera sulla quale Adenauer ha vinto. Il cancel– liere democristiano ha battuto la so– cialdemocrazia perché ha difeso una politica « europeista >, ossia alme– no parlialrnente internazionalista, se– condo la migliore tradizione sociali– sta, contro il neo-nazionalismo della socialdemocrazia. In politica estera, per quanto questo possa sembrare un paradosso che farà strillare mol• ti, Aclenaucr era di gran lunga pili < a sinistra > di Ollenhauer. Un terzo elemento, che riteniamo anch'esso positivo, per quanto possa parere paradossale che sia stato Ade– nauer, e non Ollenhauer, ad avere avuto la capacità d'incarnarlo, è la prospettiva di una vicina emancipa– zione dagli americani, del ritorno a una posizione interna e internazio– nale stabile, di pace, che i tedeschi giustamente hanno accomunato al– l'ingresso della Germania nella co– munità europea. Al ritorno all'indi– pendenza nell'ambito dell'Europa quale indipendenza opponeva Ollen– hauer? Quella di un'unità tedesca fatta col consenso dei russi? Ma quel– la può interessare tutta l'Europa, il mondo intero, perché il giorno in cui sarà stato raggiunto l'accordo fra Oriente e Occidente sulla fine del– l'occupazione della Germania e sul– la sua unificazione sarà finita l'era armistiziale e sarà cominciata quel– la della pace. Ma intanto l'unico mo– do concreto che avevano i tedeschi deJl'Ovcst di puntare su un'alterna– tiva d'indipendenza - senza ipote– che russe o americane - di stabili– tà e di pace era di votare, anche ma– lamente, per l'Europa, perché una Germania europea voleva dire il con– trario di una Germania nazista, es– senzialmente antieuropea. Certo, anche il « 18 aprile > tede– sco presenta i suoi pericoli, come quello italiano. I voti di Adenauer sono i voti della destra tradizionale tedesca, di quella parte del popolo tedesco che ieri votò per Hindenburg e poi per Hitler, che oggi vota per Adcnauer e che domani andrà con chissà chi. Ma anche Bismarck, al quale il nostro Cesa (v. « Nuova Re– pubblica> n. 18. n.d.r.) raffrontava Adc-naucr, o per lo meno la sua vitto– ria, era quello che era; e Lassalle non esitò a mettersi d'accordo con lui, perché sotto la Germania di Bi– smarck, con tutte le leggi eccezio– nali che poi fece il Cancelliere di Ferro, il proletariato tedesco, supe– rato il problema nazionale, poté di– ventare vera-mente classe militante e puntare sulla conquista dello Stato, mentre, sotto i vari principi e con– federazioni, lo stesso Marx era co– stretto - meno di vent'anni prima - a promuovere alleanze con le bor– ghesie liberali locali per creare una democrazia borghese e un'economia più moderna. Ha forse cominciato a capirlo an– che Guy Mollet, il quale non ha esi- 1\-lcndés-Francc, l'uon10 nuovo della polilicn francese, indica al Congresso del partito radicale le strade d'una den1ocruzia 1noderna. Le sue parole n1crituno di essere nteditute anche da noi. ·i\. T ON esiste per noi un problema l. 'I isolato, perché tutto è con– nesso. Se domani la Francia sta• bilizza i prezzi, sistema la moneta, accr esce il reddito nazionale, sarà p.iù facile arrestare i turbamenti so– ciali, trovare delle soluzioni costrut– tive al problema dell'Unione Fran– cese, riaffermare il nostro prestigio nelle assise internazionali. Le cause delle nostre difficoltà sono di dupli– ce ordine: le degradazione dell'auto– rità statale e l'insufficienza del li– vello di vita dei lavoratori. Il vero rimedio consiste nell'ac• crcscimento del reddito nazionale. E' inconcepibile che il livello della produzione resti invariato quando i bisogni crescono incessantemente. Se non facciamo nulla, la produzione, già ridotta rispetto all'anno passa– to, subirà un'ulteriore contrazione l'anno venturo. Quali possono essere i rimedi? Per guarire il male, bisogna favorire si– stematicamente quei trasferimenti che, a spese degli impieghi impro– duttivi, determinano investimenti produttivi. Certo, è un compito dif– ficile: si urta continuamente contro ostacoli di ogni genere. Mettete ma– no per c·sempio ai crediti militari: NUOVA REPUBBLICA 5 --------------'---------------- tato - anche nel trsto esatto del discorso che ha pronunciato a Stra– sburgo - a p:-cscntare l'alternativa europea, sia pure condizionata, come l'unico freno a quel tanto d'involu– zione rappresentato dalle elezioni te• desche. Perché, bisogna pur riconoscerlo, fuori dell'alternativa europea, i socia– listi dell'Europa occidentale non han– no in questo momento nessun'altra alternativa veramente internaziona– lista: non lo è quella che vorrebbe portare l'Europa occidentale nel cam– po delle democrazie popolari, perché violerebbe le premesse dcmocra tiche ciel loro socialismo; né quella di rin– chiudersi in una mezza dozzina di so– cialismi nazionali o nazionalisti che, nella bilancia delle potenze, contereb– bero zero via zero a cospetto di tre grandi potenze mondiali, come gli Stati Uniti, l'URSS e la Gran Bre– tagna. E allora? Per contare qualcosa in Europa al socialismo non rimane altro che riprendere in mano l'ini– ziativa federalista, che fu sua alk origini, e portare in porto quel tipo di Europa veramente unita, veramen– te federata che i nazionalisti camuf– fati da democristiani o da radicali federalisti non avranno né la volon– tà né la forza di fare. Tornando a Bidault, è sintomati– co che egli e il Quai d'Orsay non se la siano presi con la CED, che, bene o male, finirà per giungere in porto, con o senza garanzie tedesche, con o senza l'alleanza inglese, per– ché lo vogliono gli americani e per– ché alla sua conclusione condizio– nano tutta la loro politica di garan– zia della sicurezza europea e cli aiuti all'Europa occidentale. I dirigenti della diplomazia francese se la sono presi invece con la comunità politi– ca, perché sanno che anche un mini– mo di comunità politica, « con po– teri limitati ma reali>, secondo la formula di Strasburgo, costituirà il nucleo istituzionale attorno af quale potranno ricominciare a battersi e, se necessario, a trincerarsi, tutti i mi. litanti progressisti europei, tutta la parte internazionalista della classe politica europea e quindi, in defini– tiva, anche il proletariato, che si tro– verà per forw dalla parte deli'Euro– pa, contro i trust capitalistici, che cercheranno di difendersi dietro le frontiere e i governi nazionali. La riunione dei sostituti, tenuta a Roma in questi giorni, non ha fatto grandi passi avanti, ma non ne ha fatto nemmeno molti indietro. Ma la riunione dcli' Aia del I O ottobre, dove i ministri degli esteri dovranno varare lo st;ltuto della comunità po– litica, segnerà una data, positiva o negativa, per l'Europa. In quella riu. nione, il peso di tutta l'opinione avanzata dclPEuropa occidentale cer– cherà di strappare agli statisti la ri– nuncia alle sovranità nazionali e la creazione di un minimo di potere so– vranazionale. Da quella parte do– vranno trovarsi anche i socialisti. r~OLO l'ITTORELLI I COSE DI FRANCIA I STRUTTURA DELL' M. R. p I Dal 1101JrocorrisJ1011de11Je. I I Movimento Repubblicano Popola– re francese, Emme,·pé, come lo chia– mano, è il corrispondente fran– cese della nostra Democrazia Cristiana. Corrispondente, non equivalente, per– ché tra i due partiti democristiani c'è una differenza profonda di programmi, di mentalità, di forze, d'ambiente. lntanto l'Emmerpé è un partito che si dice cristiano, ma senza gridarlo trop– po alto. Chi assiste alle sue riunioni elettorali difficilmente sente parlare di religione e di chiesa. Una delle diverse inchieste Gallup ha del resto dimostra– to che il 12% degli elettori dell'M.R.P. non professavano nessuna religione, e che esso raccoglieva voti anche di molti protestanti e perfino di ebrei. Poi v'è una differenza importante nella proporzione delle forze. In Italia la Democrazia Cristiana è un colosso che, da solo, raccoglie il 40 per cento dei voti; ora se, nel 1945, alla Libe– razione, l'Emmerpé, i comunisti e i so– dalisti ebbere tutti e tre pressa poco lo stesso numero di voti (intorno a cin– que milioni ciascuno), si trattò di un fenomeno dovuto al momento eccezio– nale. Oggi l'Emmerpé rappresenta il I2 per cento del corpo elettorale atti"o, cioè dei votanti; non c'è quindi il più lontano pericolo che questo partito pos– sa imporre il proprio predominio al paese. E non ha l'appoggio formidabile che la D.C. trova nel Concordato, con– seguenza dei Patti del Laterano inçlusi addirittura (o Togliatti!} nella Costitu– zione della Repubblica. L'Emmerpé è un partito giovane, uscito dalle lotte della Resistenza e della Liberazione. I cattolici francesi - salvo qualche celebre, ma sporadica ec– cezione - avevano sempre rappresen– tato una forza di reazione tanto nel campo politico che nel campo sociale. Essi avevano aq:ettato la Repubblica a malincuore e per imposizione di Leone Xl li. Clericale e conservatore reazio– nario erano sinonimi fino al 1940. Si sapeva che tra i cattolici v'erano ele– menti che si trovavano a disagio nel– l'ambiente in cui vivevano, ma non ave– vano mai avuto l'occasione di emer– gere. Nella grande tragedia della disfat– ta, quando il già «eroe» maresciallo Pétain, strumento dei gesuiti e dell'oc– ('Upante nel tempo stesso, portava la Francia al livello moralmente più basso della sua storia millenaria, molti giovani cattolici trovarono finalmente la forza e l'ambieiite per ribellarsi. Nel 111aq11iJ comunisti, socialisti, cattolici, giovani di tutti i partiti, si trovarono fianco a fianco nella terribile lotta, e da questo contatto nacque in tutti una mentalità nuova, aperta, di tolleranza, che penni~ se, alla Liberazione, il sorgere di un Partito cristiano e cattolico, per la prima volta in Francia non reazionario, ma coraggiosamente avanzato nel cam– po politico e sociale. Il cattolico Geor– ges Bidault era addidttura il presidente del movimento di Resistenza e di Libe– razione. J cattolici diedero martiri ed eroi alla Resistenza e alla Liberazione. Nel 1945, come abbiamo veduto, cinque milioni di voti si erano raccolti attorno al nuovo Partito. Siccome tutti i vecchi partiti, all'infuori dei comu– nisti e dei socialisti, si erano sfasciati, raccogliendo tutti insieme .tra radicali, conservatori, indipendenti, neppure cin– que milioni di voti, se ne dedusse che la grande maggioranza dei cattolici fran– cesi era passata a sinistra. La realtà era un po' diversa. I teti conservatori, terrorizzati dalla progres– sione delle forze proletarie socialiste e comuniste, sfiduciati dalle capacità di lotta e di resistenza dei vecchi partiti, diedero in notevoli proporzioni il ioro voto all'Emmerpé sinistrissimo, è vero, ma che per le sue basi cattoliche dava affidamento di essere il 11,enopeggio dei mali che era necessario scegliere. A mano a mano che il pericolo di sinistra diminuiva, la paura dei ceti privilegiati si attenuava, ed essi tornavano ai loro vecchi partiti tradizionali, ai radicali in campagna, agli indipendenti nelle cil:tà, oppure si rivolgevano fiduciosi alla nuo– va meteora sorta all'orizzonte politico, l'effimero movimento di De Gaulle. Questo spiega perché in otto anm le forze elettorali dell'Emmerpé siano gra– datamente scese dal 25 al 12 per cento dei votanti (da oltre 5 milioni a 2.000.000 nel 195 I); e la parabola di– scendente non è chiusa. Inoltre otto anni in cui l'Emmerpé è rimasto ininterrott"amente al potere in governi di coalizione, prima orientati a sinistra, poi sempre più a destra, han– no inquinato le limpide acque del gio– vane Partito del 1945. Da parecchi anni SIRMONEL 1788 ci si urta contro la sensibilità na– zionale, giustificata dalle sventure che han colpito nei secoli il nostro paese e che coprono oggi, sotto la bandiera del patriottismo, i pili odio– si degli abusi. Bisogna dunque disperare? Certa– mente no. Il nostro dovere è quel– lo di definire con chiarezza i set– tori da migliorare, da aiutare, da rinfor,are, e quelli nei quali dei sa– crifici debbono essere consentiti. Ho sentito dire che la riduzione delle spese militari aggraverebbe la disoccupazione. on è vero, se co– desta riduzione si accompagna ad una politica audace di espansione economica. Poiché, del lavoro cc n'è, delle possibilità d'investimento ci so• no, e non rischiamo nulla se noi trasferiamo gli operai che oggi fab– bricano carri armati a costruire degli alloggi, se noi triplichiamo in breve termine la produzione delle case. Sarà necessario, nel momento in cui ridurremo le spese militari, avere immaginazione sufficiente per trovare il mezzo cli procedere alla rapida riconversione d'un gran nu– mero cli aziende. on si tratta dunque di masche– rare sempre la medesima politica dirtro altri uomini. Dobbiamo piut– !Q5t() denu11ci~rc le menzogne che abbiamo tollerato, gli errori che ab– biamo commesso. Non dimentichiamo, a questo ri– guardo, la lezione degli ultimi scio– peri: non erano degli scioperi po– litici, e neppure erano propriamen– te degli scioperi professionali. Gli scioperanti, ad interrogarli, sembra– vano tutti sospinti da una poten– te speranza: quella d'una specie di « new deal > francese, ch'essi tradu– cevano con queste. parole: « Biso– gna che tutto questo cambi >. In Indocina, mostriamo più im– maginazione, più iniziativa. Tenia– mo anche un comportamento diver– so nel seno dcli' Alleanza Atlantica, un comportamento che non sia quel– lo della perpetua mendicità: e la nostra indipendenza fra gli alleati sia il pegno stesso dell'Europa che si va costruendo. Non è assurdo dare a ciascun francese un focolare e una. casa per la sua famiglia. E' anzi possibile. Abbiamo della fede, della speran– za, della convinzione: facciamo una Francia moderna e solida, più au– stera ma più felice. Ma, per arrivar– vi, facciamo oggi il giuramento so– lenne di rompere con il passato. f.: ormai tempo. Comprendiamo l'avver– timento e la minaccia: siamo nel 1788! Il repubblicano popolare Schumann mesi addietro sostituito · nelladireziontdegli Esteridal compagno di partitoBidault. suoi elementi dirigono la politica estera della Francia, e anche nel campo della politica estera sono nati nel suo seno gravi dissidi. Dopo di essere stato per died mesi nell'esperienza reazionaria di Pinay, l'Emrnerpé ha cominciato a temere che il ritorno di Pinay al governo potes– se avere come conseguenza lontana, ma non remota, la formazione di un fronte popolare di cui si sentono nell'aria i primi segni precursori. Ora la speranza dell'Emmerpé è di j)Oter ricondurre i socialisti, se non al go– verno, almeno in seno alla magsioran– za. Con il governo Laniel non si poté nulla; ma la speranza si riaccende in questo autunno, ora che, insieme alle foglie, dovrebbe cadere, secondo l'opi– nione dei più, ançhe il gabinetto L,m1el,

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