Nuova Repubblica - anno I - n. 1 - 5 gennaio 1953

• NUOVA REPUBBLICA 9 --~------------ SEGNALAZIONI LIBRARIE. S. Cbase, St,ulin clel/'11,n(l– ,,;tà (Inchiesta per una scien· za delle 1·elazio11i nmane), tra– duzione di Elio Chino! Lcoll. L'uomo, u. 10], Bompiani, Mi– lano, 1 !)52, pagg. 488, L. 1000. Caro Direttore, i miei concittadini passarono insie– me molte ore domenicali: Ne risentì la pace dei focolari domestici, per– ché le mogli cominciarono a sentirsi trascurate; questo, fra parentesi, spie– ga la forte inclinazione delle donne verso i regimi che trattengono i ma– riti a casa. I. Nievo, Opere, a c·ura di 8i>1·gio Ho11mg110I i [La Letti>– l'a tnra Italinna, Storia e Tef<ti. 1·0l11me 57]. Hicciardi, ì\Iilano– :Xapoli, J9n2, pagg. X:ll."X-1200 lit'P 5000. L'importanza di questa nuo\·a edi– zione della maggiore opera del Nie"o: Le ro11/e1.sio11i d u,1 ltalia110 e di una larga scelta delle opere minori e delle lettere, ci sembra duplice. In– nanzitutto quella di includere il Nievo in misura tanto rilevante in una CO)Ì autorevole raccolta dei nostri Classici (tra Manzoni e Verga egli è infatti il solo narralore dell'ottocento che abbia per sè tulio un volume). ln secondo luogo quella di averci dato, dopo le edizioni della Fuà Fusinato ( 1867). del Mantovani ( I899), e del Palazzi ( 1931), una nuova e più esatta tra– scrizione delle Confeuioni, collaziona– ta direttamente sul manoscritto con– servato nella biblioteca civica di Man– tova. Qualcosa ci sarebbe forse da obiet– tare sulla scelta delle opere minori: duole per esempio non trovarvi nep– pure una pagina del Col/le f,ecoraio, che ne ha tuttavia di vive e di belle; mentre non concordiamo con la for– tuna che ha trovato in tempi recenti il breve racconto Il Varr110 ( qui inte– gralmente riprodotto dopo le due ri– stampe del De Luca e del Branca), e che, a parte l'esilità del tessuto narra– tivo, ci sembra appesantito da una scrittura troppo greve di inchiostri dia– lettali e accademici. Jnline le quaranta• nove lettere del N. qui pubblicate sottolineano ancora una volta la ne– cessità di arrivare alla raccolta in vo– lume dell'epistolario completo, o al– meno di quanto ancora di esso rima– ne o inedito o perso in troppo inac– cessibili pubblicazioni. E. Hemingway, Il i;ecchio <' il 11uire, traduzione di Fernan– da Pivano [hledu a n. 306], ì\Iondaclori. ]!)52. pagg. 170. L. 700. Sembra che l'apparizione di questo breve romanzo debba costituire l'av– venimento letterario del 1952, oltre che una risposta dell'Hemingway a quanti, dopo il discusso AcroSI the River and into the Trees ( 1950), aveva– no parlato di un definitivo declino del narratore americano. Jn effetti parrebbe difficile soltova– lutare l'importanza di questo raccon– to nella carriera dell'H. e nelle acque un po' ferme della letteratura di que– sti anni. La vicenda ha la consueta semplici– tà, tipica di questo autore: un vecchio pescatore, da lungo tempo abbandona– to dalla fortuna, riesce finalmente a far abboccare un pesce di proporzioni mai viste. ~ solo nella barca e per tre giorni e due notti continua 'la sua lot– ta solitaria col pesce, finché riesce ad ucciderlo e a legarlo all'imbarcazione. A questo punto, quando ormai si diri– ge verso casa spossato dalla fatica e dal sonno. <leve subire l'a,salto <li una frotta di pescecani, guidati sulle sue tracce dall'odore del sangue. E il combattimento ricomincia. li vec– chio, quasi disarmato riesce a far fron- te ai primi e a ucciderli, ma alla fine soccombe. L'enorme pesce gli vien di– vorato boccone dietro boccone. Quando la barca attracca, non resta di esso che l'enorme scheletro e la grande coda. Alla semplicità _della vicenda questa volta corrisponde davvero una sem– plicità di tono, di sentimenti, di lin– guaggio. , essuna letteratura: il per– sonaggio (e si vorrebbe dire i perso– naggi, perché anche il pesce ha una sua personalit:\, esso è l'antagonista, I'« altro », che solo può far acqui– stare valore alla lotta dell'uomo) di- • venia una figura di mito proprio per– ché resta fino in fondo e senza residui lui, un pescatore al tramonto, a cui finalmente si presenta la sua cha11che e non può farsela sfuggire. E nessuna letteratura neanche nella sconfitta: non ci saranno crolli, la pesca riprenderà come pri,rntt senza disperazione e sen– za speranza, dopo un lungo sonno che riposi. « Nella capanna appoggiò l'al– bero alla parete. Nel buio trovò una bottiglia d'acqua e bewe un sorso. Poi si distese sul letto. Si tirò la co– perta sulle spalle e poi sulla schiena e sulle gambe e dormì a faccia in giù sui giornali con le braccia tese e le palme delle mani girate». Giuramento: Jmpegno solenne pre– so dinanzi a Dio, sul proprio onore, sulla testa dei figli, sulla « polve degli :ivi » ecc. e talvolta nelle condizioni più assurde o contradditorie. In Jta– lia un ateo, citato come teste in tri– bunale, deve giurare dinanzi a Dio ed è giocoforza che tutti prendano pèr buono quel giuramento. Troppi giuramenti nella nostra sto– ria (e nella vita quotidiana), I giu– ramenti a catena sono come gli scio– peri dello stesso genere: nessuno ci crede più. li popolo dice: « giurare e spergiurare >>, ma propendiamo per una legsera correzione: << giurare è spergiurare». Luv6ro, luvorare: La tra<lizione biblica insegna che il la,,oro con su– dore è il frullo dell3 maledizione di– vina dopo il peccato originale. li Javoro con sudore, il lavoro a cottf– mo, il lavoro forzato; il super-la,·o– ro, in definitiva. Jn compenso c'è il lavoro ,enza sudore - quello di chi sfrutta - e il non favoro con sudore (freddo) - quello di chi riscuote gli assegni per la disoccupazione. Pavese dice che « la,.orare 1ta11ca >>, ma Baudelaire afferma che « bisogna « Questo libro è un tentativo di esplo– rare le possibilità di applicazione ,\el metodo scientifico ai problemi delle relazioni umane». E facile prevedere l'accoglienza che opere come questa sono déstinate ad avere nell'ambiente accademico italiano, permeato d'idt:a• lismo. Poco male. Ci pare anzi che la loro diffusione tra noi, trovan:!o un pubblico• già vaccinato rispetto al– l'eccessivo ottimismo di molta cultu:-J anglosassone nei riguardi delle scien– ze sociologiche, sia particolarmente utile e indicata. Anche perché, nei con– fronti di problemi del genere, ci tro– viamo praticamente al buio. li volume del Chase sembra costi– tuire l'analisi, lo sviluppo, e la ri– sposta a una frase di Roosevelt: « Ci troviamo oggi ad affrontare un fatto fondamentale: perch<: la civiltà possa sopravvivere dobbiamo coltivare la scienza delle relazioni umane, cioè la capacità di tutli ·i popoli, di tutte le specie, di vivere insieme, nello stesso modo, in pace>>. E\'idcnteme~te non tutto va preso per buono d, questa « scienza delle relazioni umane », ma è tuttavia verÒ che la sua appli,azione a molti fatli del vivere sociale si è dimostrata non solo un mezzo per capirli, ma per indirizzarli e_ diri– gerli. li libro in una parola c, sem– bra importante e, anche pe.r l'elemen– tarità dell'esposizione .e la razionalità di costruzione, raccomandabile. RENZOZORZI Tue1bih j lavorare, se non per inclinazione, al– meno per disperazione poiché, tutto considerato, lavorare è meno noioso che divertirsi ». C'è qualche analogia con l'etica cristiana del lavoro. li socialismo permetterà di stancar– Ji assai meno e uccidc..rà, non avver– sari o compagni, bensì la noia. Allora Sartre non riceverà più il biglietto d'invito per i congressi della pace. Ilon1icionc: Termine toscano. « Fa– re il romicione », qualcosa come ro– miteggiare. Aspetto classico del ni po– litico. Uomo con molti ma ..., che cre– de nella politica del raffreddore in– teso come conseguenza stagionale, come dovere di sottomissione; uo,no che bolle senza fumo. li romicione medita spesso il pro– prio clistigo. Va allo specchio e sputa sulla propria immagine. « Ecco, dice, mi sono sputaÌo in un occhio. li pec– cato che ho commesso è stato lavato». Scambia la saliva per soda Solvay. Totocalcio: Vincere dieci, trenta, ,ettanta milioni per essere a pari col governo e avere finalmente il corag– gio di credere nel paradiso come il governo ci crede. • la convivenza fra gli abitanti della mia città non è così buona come po– trebbe essere, e bisogna dire che la colpa è in primo luogo della demo– crazia. Pensi che la città è troppo vasta per il numero dei suoi abi– tanti, che l'inverno è rigido e molto lungo, e la piazza principale non ha edifici a portici. Cosl succede che anche fra amici non ci si veda per s~ttimane intere: uscendo dall'uffi– cio o dallo studio, o dalla scuola, og~uno se ne va a casa sua per la strada più breve senza sentire la vo– glia di fermarsi un momento in piaz– za. Non pa.rliamo dei semplici co– noscenti; le notizie che uno ha del– l'altro sono quelle che circolano at– traverso i pettegolezzi, di famiglia in famiglia. « E la democrazia che c'entra? » dirà lei. C'entra, perché una volta non era cosl. Quando cinque o sci uomini che si fregiavano di un'aquila sul berretto provvedevano ai bisogni di tutti gli altri, fra questi bisogni non dimenticavano la fratellanza; non perché essa fosse nominata nell'im– mortale trinomio (che anzi era di– ventato una propos1z10ne eretica, come lei sa), ma perché nessuna so– cietà regolata può vivere senza di essa. Nelle adunate in piazza e nei comizi al chiuso i miei concittadini avevano frequenti occasioni per fra– ternizzare, e .non occorre dire quanto diventasse gustosa la maldicenza sul– la famiglia del capo settore e la can– zonatura alle spalle del ge.rarca ar– rivato da fuori se si pensa che veniva fatta da uomini in orbace e stivaloni parlando a bassa voce e guardandosi attorno con la coda dell'occhio. In quegli anni ci si voleva bene, e le amicizie erano solide. Poi le cose cambiarono; ma arri– varono i tedeschi e tutti si sentirono veramente fratelli anche senza il ce– mento della maldicenza; anzi fecero in comune mol:e belle cose che ades– so sono state dimenticate. Infine fa– sci'l!i e tedeschi sparirono, ed en– trammo nel regime democa·atico. La democrazia è bella ma è scomoda. La gente suppose che essere demo– cratici fosse cosa obbligatoria, come ieri era obbligatorio essere fascisti, ma si trovò nella difficoltà della scel– ta fra tante tessere e tanti comizi; l'unico vantaggio sul passato sembrn– va quello di non dover affrontare la spesa di una divisa. Alcuni fecero la scelta; altri, nel dubbio, presero pa– recchie tessere insieme e frequenta– rono parecchi comizi nella stessa gior– nata; il risultato fu che tutti gli o.ra– tori trovarono degli ascoltatori, e che Dopo qualche anno la gente co– n1inciò a capire che la democrazia era facoltativa, così come la parteci– pazione ai comizi; insomma si accor– se che era libera da\'\'ero e approfit– tò della libertà di restarsene a casa. Così _;:.. come dicevo in principio - un po' per colpa del clima e della sistemazione urbanistica, un po' a causa della democrazia, qui ci si incontra soltanto a cinema e alle par– Ìite di calcio. Da un anno a questa parte, però, le cose hanno cominciato a cam– biare. Non dico che l'avvento dei democristiani al comune abbia segna– to una svolta nella vita dclJa città, ma se non mi inganno è eia quel tempo che la nostra cattedrale, una volta ritenuta troppo vasta, non rie– sce più a contenere i fedeli per la messa d~menicale di mezzogiorno. La gente sente il bisogno di stare insie– me, e si ritrova in quell'occasione-. Chi volesse supporre che ci siano di mezzo pressioni del cirro o cose del genere sarebbe lontano dalla ve– rità; il clero non ci guadagna nulla, perché l'inflazione di fedeli che si ve– rifica nella cattedrale avviene in gran parte a spese delle parrocchie peri– feriche e delle messe mattutine. Piut– tosto bisogna pensare alle pressioni delle mogli su.i mariti: « Vedi il dottor Tldo, l'avvocato Caio, il ra– gionier Sempronio che prima non si facevano mai vedere in chiesa? Ades– so ce li trovi tutti >. Poi (si sa come succede) l'esempio trascina anche i riluttanti. « Facciamo due passi? > - « o, devo andare a messa >. - « Allora vado anch'io>, pensa l'amico. « A non andare si comincia ad essere notati ~- Per un motivo o per un altro, re– sta il fatto che •i miei concittadini stanno nuovamente prendendo il gu– sto di ritrovarsi. Perciò nessuno par– la più dei portici che una volt& si voleva costruire attorno alla piszza. Adesso sarebbero inutili. Con saluti cordiali, ~uo ANDREARAPISARDA Caro lettore, il giornale può vivere solo col tuo appoggio. Abbonati! _di prestigio che vi era vent'anni fa, nelle Università, fra i professori che erano riusciti ad arrivare alla cattedra per la dura via del concorso ed i professori nominati agevolmente, come si diceva allora, « per chiara fama». mocrazia è soprattutto educazione e coscienza morale; ed anche noi socialisti, noi socialisti italiani, abbiamo ·appreso da Turati, da Matteotti e da Rosselli che socialismo è senso di solidarietà sociale vivo nello spirito prima che negli istituti. ritenuto disonesto ed indegno di uomini liberi e di deputati della Camera italiana non esprimere francamente il nostro dissenso. Possano le nostre previsioni essere sbagliate. Se non lo fossero, vorrebbe dire d1e questa legge inaugurerebbe, per il nostro paese e per la democrazia, ttn nuovo periodo di dolori. Ma neanche questo ci scoraggerebbe, perché noi abbiamo fede nella democrazia, in questa democrazia, per– ché noi ne parliamo con calore di sen.timento verace, tu lo sai, compagno Saragat, e non per quei motivi di fredda polemica che tu ieri hai creduto di rimproverare agli op– positori di altri settori. Noi crediamo in questa democra– zia; e non _ciscoraggerebbe neanche una momentanea eclis– si di essa. Le nostre persone passano, non contano; i calcoli elettorali, il numero dei seggi, sono trascurabili miserie : quello che conta, compagno Saragat, quello che conta, ono– revole Nenni, è lasciare aperte verso l' a"}'enire, nelle nostre coscienze e nel paese, le strade pacifiche che attraverso la democrazia parlamentare portano a quelle plaghe ove la libertà è tutt'uno col socialismo. (ApplauJi all'ntrema Ii• nÌJll'a,a JÌnÌJlrae ali'eJll·em4dntra - Co11gra111/azio111), Di questo prestigio del Parlamento tutti dobbiamo esser gelosi; e pens~re non solo alle conseguenze che questa legge avrà sull'immediato scontro elettorale, ma alle con.seguenze che potrà avere nel lontano avvenire, dove costituirà un precedente ed un esempio pericoloso. La democrazia. è costume Onorevole signor Presidente, onorevoli colleghi, la de– mocrazia è educazione, è costume: non sta nelle leggi, sta nello spirito che le anima, nella dedizione e nella fiducia con cui i cittadini sono disposti ad osservarle. I partiti minori sono concordi su questo. Voi liberali avete appreso, per ultimo da Benedetto Croce, la cui scomparsa ha lasciato nella coscienza di ciascuno di noi come un senso di vuoto e di solitudine, che libertà è soprattutto senso di responsa– bilità; voi repubblicani avete appreso da Mazzini che de- Ora, se democrazia è educazione e costume, si può dire che con questa legge diamo veramente al paese un esempio di educazione e di costume democratico? Diamo soddisfa– zione con questa legge a quella sete di schiettezza, di sin– cerità, di pulizia morale che fu l'anima della Resistenza e che è ancora così diffusa e così fresca nel nostro popolo, c1uantunque turbato e disorientata da tanti disinganni? Que– ste sono le domande che ~i son presentate alla nostra co– scienza. Abbiamo voluto esporvele con onesta franchezza. Queste sono le ragioni che, dopo lunga meditazione e lungo travaglio, ci spingono a non approvare questa legge. Se essa avesse almeno contenuto quel !llinimo di garan– zie che era stato rid1iesto dal nostro congresso socialista di Genova, l'avremmo accettata come un duro dovere di di– sciplina di partito ed avremmo taciuto; ma neanche quelle garanzie sono state osservate, ed in tali condizioni avremmo

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