Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà - n.1 mag-giu 1944

- 93 - sia, alla sete di quelle che si prospettano più lontane, e in quanto la coscienza che iraggiungibile è un'astratta perfezione si risolva non già in un'acquiescenza paga al transitorio e all 1 approssima– tivo, ma in una più serrata e rigoosa e travagliante problematica della perfettibilità. Questo, Gentile filosofo sapeva e predicava forse ancora dalla sua cattedra; ma era una dottrina in lui morta, così come da lungo tempo ormai un Gentile filosof'o, e in quanto tale votato senza riserva alcuna alle leggi della verità e della co– scienza morale, non esisteva più. Era rimasto l'uomo economico. Non come i nemici suoi vociferavano, e fino aleultimo, a dispetto dell'evidenza, uomo dedito solo al tornaconto suo personale: Gen– tile era e sempre è stato di più alta statura e di più vasto respiro. Ma uomo economico era rimasto, da filosofo che era stato e avrebbe dovuto essere, nella filosofica accezione del termine; vivo alla giornata. ~enza il raccoglimento della notte t.Scura, vivo d'una vita senza appressamento di morte, distratto dal destino che è la storia, e solo contento e intelligente della cronaca. e però quanto più persuas3 di attenersi al reale, al sodo, tan1o più invece so– spinto ai margini della lotta, logoro. inerte, incapace <li quegli stes~i più volgari accoflg'lmenti che ai meri profittatori non difet- tano mai. · Perchè questo è il tratto saliente, memorabile. deUa sua vi– "cenda ultima e conclusiva; di essere anzitutto ritornato nel giu– gno dello scorso anno sulla scena politica col discorso del Campi– doglio, discorso che era tStato richiesto, non imposto da Scorza, quando già la dissoluzione interna del fascism.o era in atto, mani– festa, e imposizioni a uomini come GentiJ.e non erano neppure im– maginabili: una rkhiesta che l'uliimo -opportunista avrebbe de– clinato senza pensarci su du,e volte, riconoscendola intempestiva e tanto inutHe quanto rischio,a, e alla quale invece lui, Gentile, si prestò volentieri. E non perchè l'obblig,asse una disciplina in– tima, o la fede del fascismo, ma per un calcolo, e cioè un errore di giudizio sulla situazione di quel momento. €norme e quasi in– credibile. Il ~uo ottimismo e opportunismo sistematico infatti lo portavano ad illudersi che ancora Ja partita fosse da giocare. che la guerra non fosse, come tutti ormai vedevano chiaramente. de– cisa; inoltre. e questo è il punto, s'illudeva eh~ stesse per giun– gere, per tornare anzi, e magari fosse tornato già il m.omento suo, di richiamarie tutti gli italiani alla concordia a; fronte allo stra– niero, tutti i cosiddetti ital1iani di buon senso e buona volontà, esclusi cioè so1tanto ì pochi facinorosi e faziosi i'rreducibili, che, del resto, che peso avevano mai avuto? Un bell'abbraccio insom– ma del fascismo con le forze dell'ordine e della tradizione, con la monarchia e la chiesa e la destra storica e l'esercito e il Piave e Vittorio Veneto, al di là di ogni malinteso, proprio come nel 1922. Inc~edibile ma vero, questo era il calcolo e il proposito di Gen– tile, dell'uomo alieno <la ogni rigidezza dogmatica, assuefatto a prendere le cose per il loro verso. realhta insomma tanto da non

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