Cronache meridionaliste nostra indiscussa fedeltà all'antico europeismo se la Comunità ha potuto estendersi anche alla Gran Bretagna. Tuttavia, al di là di questa generale adesione, le nostre mosse per inserire concretamente l'Italia nell'Europa moderna sono state scarse e inefficaci, proprio i primi della classe ed i più fedeli all'idea europea (che dopo gli attenti dibattiti all'interno del partito comunista coinvolge ormai tutto il Paese) non hanno saputo trarre da questa nuova realtà un aiuto per il faticoso rinnovamento delle nostre strutture. Non c'è mai stata tanta fede nell'Europa e non ci sono mai state tanto poche opere di modello europeo. Eppure mai come ora risulta evidente che la fede senza le opere non serve a nulla. Un Paese che nell'Europa trova uno dei pochi momenti di generale coesione deve iniziare con sollecitudine la formulazione di strategie concrete almeno per quegli aspetti della politica europea che più degli altri condizionano il nostro progresso economico e sociale. Uno dei temi più importanti e che, per la tragica importanza che ricopre, avrebbe dovuto trovare nell'Italia una posizione di leadership è quello della politica regionale. Eppure anche riguardo alla politica regionale non abbiano formulato alcuna proposta innovativa, oscillando continuamente tra il disinteresse e la paura riguardo alle posizioni degli altri partners, probabil~ mente per timore che essi potessero in qualche modo interferire con i programmi della Cassa del Mezzogiorno. Il desiderio effettivo dei nostri politici (almeno per quanto si può dedurre dalla posizione tenuta nelle trattative d'un mese fa) è quello di ricevere un aiuto quanto più cospicuo possibile dai fondi della Comunità e spenderlo poi attraverso i canali tradizionali e con i criteri già sperimentati. Questo atteggiamento è naturalmente dettato da un comprensibile obiettivo di conservazione e di rafforzamento delle strutture esistenti, ma presenta il sostanziale difetto di sprecare l'occasione europea per impostare la soluzione dei problemi del nostro Mezzogiorno. Anche se il « fondo sociale e regionale » europeo è stato oggetto, non solo in Italia (pensiamo ad esempio alla Gran Bretagna e all'Irlanda) di molti sogni e di molte illusioni, una sua valutazione in termini quan-. titativi ne mostra un'estrema modestia nei mezzi e nelle possibilità. Comprese le dotazioni per la politica sociale, il Fondo non arriverà infatti a 400 miliardi di lire all'anno. Anche se ne. potessimo ricevere la metà (non sarà facile perché anche gli altri Paesi hanno problemi regionali da far valere e la sola Gran Bretagna spera di ottenerne quasi un terzo) non saranno certo queste risorse a fornire un contributo decisivo per il rilancio del Mezzogiorno. Una somma tale aggiungerebbe ben poco 51 Bibl_iotecaGino Bianco
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