Nord e Sud - anno XX - n. 164-165 - ago.-set. 1973

L'antistoricismo degli anni settanta trine, anche se elaborate da alcuni decenni, soltanto adesso sono diventate il vessillo di un certo tipo di contestazione della società borghese? Non sono antistoriciste le conclusioni che un vecchio hegeliano come Herbert Marcuse ha proposto nelle sue opere più note? Quando nella Dialettica dell'illuminismo Horkheimer e Adorno vedono nel progressivo espandersi della ragione umana un puro e semplice succedersi di mitologie, mentre lo sforzo per liberarsi da queste finisce con il condurre, vista la sua inutilità, alla diffidenza anche nei confronti dei concetti e dei pensieri intorno alla realtà; quando scrivono che « gli uomini avevano dovuto sempre scegliere fra la loro sottomissione alla natura e quella della natura al soggetto » e che « con l'espandersi dell'economia mercantile borghese l'oscuro orizzonte del mito è rischiarato dal sole della ratio calcolante, ai cui gelidi raggi matura la messe della nuova barbarie »; quando ancora sostengono che « dal momento in cui l'uomo si recide la coscienza di se stesso come natµra, tutti i fini per cui si conserva la vita, il progresso sociale, l'incremento di tutte le forze materiali e intellettuali, e fin la coscienza stessa, perdono ogni valore, e l'insediamento del mezzo a scopo, che assume, nel tardo capitalismo, i tratti della follia aperta, si può già scorgere nella preistoria della soggettività »; quando dicono tutto questo, quando credono che quello che lo storicismo ritiene essere il progredire della ragione, non sia invece altro che l'autoformalizzazione di essa, la rinuncia a dare significato alle cose per volgersi alla semplice descrizione formalistica e astratta, dimostrano con assoluta chiarezza di avere dimenticato, per amore della loro pessimistica e disperata visione del mondo (formulata sotto la tragica suggestione della barbarie nazista considerata come ipostasi di tutta la civiltà occidentale), dimostrano di avere dimenticato, dicevamo, la destinazione hegeliana fra Vernunf t e Verstand, la quale aveva consentito allo storicismo moderno di collocare nelle rispettive sfere di competenza e di azione l'attività scientifica formalizzatrice e il « comprendere» storico. Ne viene come conseguenza primaria che la critica della società tecnologica da essi prospettatà, finisce con l'essere, lo si voglia o non, una critica di tipo tardo-romantico e quindi reazionaria. Horkheimer scriveva nel 1944 che « al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida », escludendo quindi qualsiasi· possibilità di riscatto e di ripresa dopo la caduta negli abissi degli anni Trenta e Quaranta. Herbert Marcuse, verso la fine dello scorso decennio, travolto pure lui dal 15 Biblioteca Gino Bianco

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