Ernesto A,!azzetti l'intrecciarsi dei motivi geografici e storici che hanno fatto della Calabria lo « sfaciume geologico pendulo tra due mari », giusta l'amara defizione di Fortunato, sono indispensabili per comprendere come, oggi, questa regione, più ancora delle altre regioni meridionali, sia un banco di prova importante per verificare quanto valgano l'azione dei poteri pubblici, le tecniche aggiornate di programmazione economica e pianificazione urbanistica, la volontà delle classi dirigenti locali. Così pure, questi ragguagli sono indispensabili per comprendere l'entità del dramma della popolazione calabrese nei secoli passati e negli anni recenti. Un dramma al quale ci si poteva (e ci si può) sottrarre in un sol modo: partendo. « La fuga - ha scritto Corrado Alvaro in una pagina ben nota - è il tema della vita calabrese ». In rapporto ai suoi effettivi di popolazione, la Calabria è la regjone che ha dato il maggior contributo all'esodo meridionale. « Un bene grandissimo »; « sommamente benefica»: così giudicarono l'emigrazione del bracciantato calabrese l'economista Marenghi e l'on. Nitti nell'inchiesta parlamentare del 1909-11. Non era cinismo, quanto precisa consapevolezza che il mancato alleggerimento della pressione demografica su una terra povera avrebbe avuto effetti catastrofici. Gli effetti che appunto si ebbero quando il fascismo bloccò il movimento migratorio, onde - come ha sottolineato il Rossi Doria, - il già precario tenore di vita delle popolazioni rurali meridionali scese a livelli miserevoli negli anni 30 e 40. Ma quanti sacrifici individuali,_ quanta sofferenza per i calabresi costretti a partire. E quante « Calabria novo », non più a Costantinopoli, come nel Seicento, ma a Colonia e Dusseldorf, a Milano e Torino. L'andamento demografico nella regione negli ultimi settant'anni è pesantemente segnato dal fenomeno migratorio. Mantenutosi intorno alle 12mila partenze annue tra il 1885-90, il flusso - secondo la ricostruzione di Lucio Gambi - superò le 30mila partenze all'inizio del Novecento, fino a toccare le 60mila nel 1907. Tra il 1878 e il 1915 partirono circa 220mila calabresi, in prevalenza diretti oltre Oceano. Tuttavia, l'alta natalità portò nel 1921 la popolazione a oltre un milione e mezzo. Si riaprì, dunque, all'indomani del primo conflitto mondiale, la valvola dell'emigrazione, che fu costante per tutti gli anni 20. Fu bloccata negli anni 30, e da 1.670.000 abitanti nel 1931 si passò a 1.878.000 nel 1940. L'alto tasso di natalità (30 per mille nell'immediato dopoguerra, poi calato gradualmente fino a scendere sotto il 20 negli ultimi anni) e l'abbassamento della mortalità (oggi tra 7 e 8 per mille, vinta la malaria e l'anchilostomiasi e ridotta la tisi), nel secondo dopoguerra fecero crescere la popolazione fino ai 2 milioni 44mila abitanti del '51. L'emigra78 BibliotecaGino Bianco
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