Nord e Sud - anno XX - n. 163 - luglio 1973

Gino Pallotta netrabile, freddo, diffidente. Ed è risaputo che no.n riponeva alcuna fiducia negli esponenti del pre-fascismo giudicandoli, disse, dei morti risuscitati. È stato osservato che il re, nell'estate 1943, attendeva un'occasione, un « espediente costituzionale » per entrare in scena e togliere il potere, militare e politico, a Mussolini. L'atteso voto del Gran Consiglio sarebbe stato dunque l'occasione che il sovrano auspicava: non un colpo di forza ma una soluzione, se non comoda, certamente « indolore », quasi una presa d'atto, la testa del dittatore offerta al monarca. Ci sarebbe di che dire che i gerarchi stavano lavorando per il « re di Prussia». Ma essi speravano di poter avere ancora una parte, anche nel « dopo-Mussolini », senza rendersi conto che, a quel punto, il loro destino si sarebbe fatto quanto mai incerto e precario. Tra i suoi piani, oltre all'arresto di Mussolini, il re aveva anche quello di dare il benservito ai protagonisti della congiura, persino a Grandi, il più abile fra tutti (solo Bastianini infatti ottenne un incarico diplomatico ad Ankara, pur tra le proteste dei circoli antifascisti). Nel frattempo, mentre si attendeva il voto del Gran Consiglio, i militari organizzavano l'arresto di Mussolini, un compito che, concertato con Senise, fu poi rimesso al generale Cerica, nuovo comandante (alla morte di Hazon) dell'arma dei carabinieri. Paolo Monelli (Roma 1943) ci ha dato, praticamente all'indomani della liberazione di Roma, un resoconto della seduta del Gran Consiglio al quale, benché siano passati trent'anni, poco, di sostanziale, hanno potuto aggiungere le successive ricerche. Prima che la riunione cominciasse, Mussolini era passato da uno stato d'animo all'altro. Cosa sarebbe stato, si chiedeva il dittatore, quel Gran Consiglio: una « trappola » o una « riunione confidenziale »? Anche tale incertezza, prova che egli aveva perduto completamente il controllo della situazione. La prolissa relazione, il tentativo di scaricare solo su altri la responsabilità dei rovesci :µiilitari, la puerile autodifesa sulla delicata questione dei Comandi militari (l'ex caporale Mussolini. affermò di non aver mai sollecitato il massimo comando: questo, a suo avviso, era stato un grazioso dono del re, sollecitato, a parere del « Duce », proprio da Badoglio); questi ed altri punti del discorso mussoliniano non fecero che accrescere l'irritazione di chi s'era recato al Gran Consiglio pronto ad attaccare anche se ìa partita appariva incerta per tutti (alcuni dei gerarchi, Grandi stesso, erano entrati nella sala del Mappamondo con un paio di bombe in tasca: meglio vender 18 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==