Gino Pallotta cologico che caratterizzò, per alcuni aspetti, la «. notte dei lunghi coltelli » di palazzo Venezia, nel riemergere anche di antichi rancori. Tra i dati che confermano la dissoluzione in corso e i dissensi al vertice del regime mentre stava per scoccare rultima ora del fascismo, vengono solitamente citati il fallimento delle adunate regionali ordinate da Scorza dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, il « caso Cini » (piuttosto interessante) e persino il tentativo di aprire uno spiraglio per la pace separata. Il « caso Cini »: un episodio, riferito da G. Bianchi (25 luglio, crollo di un regime), che ci riporta all'ultima seduta del Consiglio dei ministri (19 giugno '43), un organo che da tempo aveva perduto un effettivo rilievo politico. Presa la parola, il senatore Cini, allora ministro delle Comunicazioni, pose inquietanti interrogativi a Mussolini. Parve e fu un dissenso non più sanabile. Alcuni giorni dopo, Cini si dimise. Mussolini reagì velenosamente nei suoi confronti e, a parte ciò, il successivo discorso del bagnasciuga sta a confermare che, davvero, il dittatore restava cieco di fronte all'incalzare stesso degli avvenimenti. Poco dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia ( 10 luglio), il sottosegretario agli Esteri, Bastianini, che appariva convinto dell'imminente crollo del regime, propose un sondaggio per una pace separata. Persino Farinacci, il ras di Cremona, manifestava bollori antimussoliniani benché giurasse che era possibile vincere la guerra e salvare il regime, sicché appare verosimile la tesi (raccolta anche da Alfassio Grimaldi e G. Bozzetti in Farinacci, il più fascista) secondo la quale i nazisti lo consideravano una soluzione di riserva per il caso che il « Duce » avesse dovuto lasciare il governo. Che Farinacci facesse la spola con l'ambasciata tedesca era cosa nota a tutti, per cui né Grandi, né Bottai, né altri scoprirono mai con lui tutte le carte del gioco. Ne derivava che i meno informati fra tutti finivano con l'essere proprio i nazisti i quali con teutonica pertinacia avevano puntato le loro scelte, anche per quel che riguardava le informazioni, sul ras di Cremona. Fedelissimo ai nazisti, Farinacci non si fece scrupolo di mostrare a Mussolini (e, c'è da sospettarlo, anche all'ambasciatore di Hitler a Roma, Mackensen) un biglietto in cui Cavallero, denunciata la cospirazione di Grandi, pronosticava che questi giochi avrebbero avuta misera fine perché Acquarone avrebbe messo tutti nel sacco. L'episodio è noto anche perché Mussolini, per tranquillizzare il ras di Cremona, rispose dicendo di non aver proprio niente da temere dal re. E riferì un episodio. « Caro Mussolini - gli aveva 16 BibliotecaGino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==