Ferruccio Grandi Comunque le cifre sarebbero le seguenti: a partire dal 1964 secondo dati forniti dalla Federa[ Trade Commission· e dalla Security Exchange Commission le grandi manufacturing corporations da più di 100 milioni di dollari di fatturato l'anno non sarebbero più in testa nella scala dei profitti, bensì proprio il raggruppamento dimensionale più piccolo (fatturato inferiore ad un milione di dollari). Gli altri tre scaglioni (fatturato maggiore di 100 milioni di dollari, fra 10 e 100, fra 1 ·e 9) avrebbero appiattito le loro differenze reciproche. Inoltre la tendenza dal '64 ad oggi non è di salita ma di discesa del livello dei profitti. Particolarmente significativa una statistica di « Fortune » del maggio 1970 fa rilevare come le prime 50 società del gruppo di testa delle prime 500 società industriali degli Stati Uniti conseguirono successi particolarmente modesti rispetto a quelli di tutto il gruppo. L'importanza . di questo campione delle 500 società - non dimentichiamolo - è che ad esso è da attribuirsi (maggio 1972) il 75% di tutta la produzione industriale americana. Alle prime 100 il 48%, agli altri quattro gruppi il 13%, il 7%, il 4,5% e il 3% rispettiva1nente. Il gruppo fuori delle 500 si attribuisce il restante 25%i. Questi dati danno un'idea veramente plastica della distribuzione delle forze nell'economia americana. Ne esce ben chiaro il predominio quantitativo della grandissima industria al di là di ogni altra considerazione, ad esempio sulla redditività; nonostante le probabili distorsioni provocate dal raggruppamento statistico dei dati, sembra confermata una tendenza alla distribuzione bimodalè della produzione su due poli: i giganti (prime 100 società), i piccoli (ultimo quarto della produzione. Suggestiva conferma ne potrebbero ricevere le tesi di H. V. Perlmutter come vedremo più avanti. Lo stesso trend verso la scarsa redditività da parte delle maggiori iniziative economiche emerge anche dalla consultazione di «Fortune» del maggio 1972. Da essa si deduce che le « diseconomie di scala » possono far sentire il loro peso, superando le « economie di scala », non foss'altro sotto la fonna un po' spuria che può affliggere quella fra le 500 maggiori compagnie (e sono 1nolte e ovviamente fra le maggiori) che hanno caratteristiche cosiddette multinazionali ». Ossia le « foreign ventures » - come il « business » americano chiama le nuove iniziative fuori dei confini - possono sentire maggiormente le tempeste del mondo economico, dalle nazionalizzazioni del Cile alle difficoltà delle maggiori aree economiche europee. Ma esistono pure più autentiche cause endogene della crisi dei grossi: - le difficoltà delle industrie produttrici di beni di base, come quella dell'acciaio tipicamente inserita quasi al completo fra le grandi 86 Bibl'otecaGino Bianco ✓
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