Nord e Sud - anno XX - n. 162 - giugno 1973

I Prospettive della programmazione in Italia italiana. Altre parti hanno avuto buon gioco nel sottolineare come un tale intervento, risultato del resto inesistente, sarebbe stato comunque improponibile, in quanto fondato su certi articoli di un progetto di legge comunitaria ancora non approvato, e che includerebbe fra le pratiche monopolistiche proibite la costituzione di sindacati di controllo. Fin qui tutto bene! Ma cosa accadrebbe se in futuro regolamenti di questo genere fossero approvati dalla Comunità? Non si correrebbe il rischio che le partecipazioni statali, che hanno già dimostrato di essere difficilmente controllabili, diventino ancor più indipendenti, e poco differenti dagli altri centri di potere economico privati? In questo modo il rapporto fra potere economico pubblico e potere politico subirebbe un'ulteriore degenerazione, e nella misura in cui il controllo del potere politico sui settori produttivi attraverso le partecipazioni statali si dimostrasse solo un alibi, ma divenisse in concreto sempre più velleitario anche per le regole imposte dalla CEE, ogni residua giustificazione di esso verrebbe a cadere. La programmazione economica diverrebbe sempre meno. competenza del potere politico, e sempre più di gruppi, pubblici o privati, che non dovrebbero risponderne al Paese (e spesso nemmeno agli azionisti). 3) Il modo come sono state realizzate le regioni, l'aver voluto ripetere in periferia gli equilibri instabili ed il governo assembleare che non ha dato buona prova al centro, l'aver ripartito le responsabilità fra regioni e Stato in base ad un criterio settoriale, l'inesistenza di leggi di procedura per regolare questi rapporti; in altre parole il fatto che al momento attuale una politica di programmazione trova nella riforma regionale più un ostacolo che una facilitazione a causa della conflittualità che la carenza normativa non può che generare, con tutta probabilità si tradurrà in un aumento ·degli squilibri fra le regioni italiane, e renderà più lontano il recupero del Mezzogiorno. E ciò sia perché alcune delle regioni del sud sono più deboli dal punto di vista economico e dal punto di vista politico, sia perché certi interventi realizzati in passato, forse con alcune ombre, ma anche con molte zone di luce, da agenzie a livello multiregionale, trovano impacci ed ostacoli nei poteri regionali. Nelle difficoltà di questa fase di trapasso non ci si può nascondere il pericolo che_ le regioni italiane più ricche e più autonome profittino della loro maggior forza contrattuale rispetto ai poteri dello Stato e della Comu~ità, e riescano nei fatti a realizzare migliori condizioni per il loro sviluppo economico e sociale. Vorrei non sbagliarmi, ma proprio il problema del Mezzogiorno, per la sua necessità di essere inquadrato in una visione multiregionale, ri113 BibJiotecaGino Bianco

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