Il filo del mazzinianesimo l'inglese ». E fu per questo che, « contro la possibile affermazione in Italia di un sindacalismo di massa legato ai principi nazionali», Marx condusse una lotta senza quartiere che colpì con Mazzini tutti i valori del Risorgimento. Certo anche Mazzini, come Marx, era stato critico intransigente della società capitalistica ottocentesca conosciuta da lui direttamente in Inghilterra e giudicata addirittura una « infamia ». Ma se egli, pur rifiutando di accettare in astratto la negazione della proprietà privata, che voleva fondata sul lavoro, fu avverso al sistema che portava al trionfo dei più forti nell'anarchia degli egoismi individualistici, fu anche ostile sin dalla rottura iniziale con Buonarroti (e non soltanto per motivi di strategia rivoluzionaria nazionale) a tutte le teoriche socialiste sfocianti in questa o quella forma di comunismo. Un sistema quest'ultimo che egli vedeva fra l'altro con lungimirante realismo condannato a dare origine al duro dominio di una privilegiata « nuova classe». « Avrete - scrisse egli infatti nel '46 rivolto ai sognatori di nuovi paradisi terrestri - avrete una gerarchia arbitraria di capi, ai quali darete piena autorità di riparto della proprietà comune: padroni dell'anima per monopolio esclusivo d'educazione, padroni del corpo per diritto di decisione sul lavoro, sulla capacità, sui bisogni di ognuno. E quei capi, eletti o accettati non conta, staranno, nell'esercizio del loro potere, come i signori ai servi delle età trapassate, o sospinti essi pure dalla teorica d'interesse che rappresentano, sedotti dall'immensa autorità concentrata nelle loro mani, tenteranno di perpetuarla: tenteranno ricostruire, corrompendo, la dittatura ereditaria delle vecchie caste ». La verità è che se Mazzini, alla ricerca, si deve dire, di una nuova etica sociale, fondata sul dovere e sull'associazione, che garantisse uno sviluppo comunitario della persona e arricchisse ed elevasse la tradizione politica della democrazia (intesa da lui in senso etico-qualitativo, nonché realisticamente bisognosa di classi dirigenti legittimate dal consenso), se Mazzini dunque nella sua filosofia della storia spesso considerò polemicamente la Rivoluzione francese come mera conclusione del1'epoca, inaugurata dal Cristianesimo, propugnante i diritti dell'individuo, pur tuttavia proprio nell'ambito della civiltà scaturita dalla grande rivoluzione, e dei suoi valori, soltanto temporaneamente confiscati da una classe, e non contro di essi, vide possibile la promozione non catastrofica del quarto stato. Egli stesso nel '72, poco prima di morire, così espresse in modo inequivocabile il suo pensiero: « La Rivoluzione francese del sec?lo scorso fu, nei risultati pratici, rivoluzione borghese e dotò quell'elemento di privilegi civili e politici di ogni sorta. Senonché proclamando come principio l'uguaglianza tra tutti i figli della Nazione ... 57
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