Tarcisio A,-nato zionale (invocati da qualche tempo, com'è risaputo, a tutto spiano e a senso unico dai paladini dell'internazionalismo proletario!), poterono affermarsi compiutamente in Europa, secondo quanto aveva indicato nei suoi tratti essenziali Mazzini nello scritto-testamento del '71, nella già menzionata cioè Politica internazionale. Ora è a tutti noto che questo prezioso lascito mazziniano non rimase inoperoso nel nostro paese, e trovò anzi precisamente nell'interventismo democratico dei Bissolati e dei Salvemini la forza storica e ideale che fra grandi difficoltà e ostacoli seppe metterlo a frutto. Bissolati, ad esempio, mazziniano da sempre nell'animo, propugnò l'intervento perché credeva sul serio al principio di nazionalità, come è dimostrato ad abuntantiam sin dalla sua polemica con Turati sull'Avanti, da lui allora diretto, nel 1908. Bissolati insomma coll'intervento assunse in pieno l'eredità di Mazzini ed espresse chiaramente la sua posizione mazziniana quando scrisse: « Noi vogliamo Trento e Trieste, ma non passando sopra la vita e l'indipendenza di altri popoli; vogliamo andarvi in nome del diritto nazionale di tutti i popoli, in nome della civiltà europea ». Disgraziatamente questa posizione di sinistra democratica non fu compresa, ma anzi vilipesa e indebolita da coloro che militavano nella così detta sinistra di classe, sino al commento rozzo e incosciente del1' « Avanti » all'aggressione messa in atto dagli « arditi » in occasione del famoso e generoso discorso che Bissolati tentò nel '19 di pronunziare alla Scala di Milano. Come ha scritto Costanzo Casucci, « il 1919 costituì una prova d'appello per la posizione di netto contrasto che il Partito socialista aveva assunto nei confronti della guerra e di tutta la tradizione risorgimentale nel 1914; ma esso con ostinata coerenza la rifiutò ed esacerbò la sua campagna anti-interventista, che assunse i toni del moralismo più esasperato». E si devono forse ricordare le parole di un insospettabile autore che ha stigmatizzato « l'abbondante demagogia contro gli interventisti», usata nel primo dopoguerra dalla sinistra di classe? Non altri che Gramsci, in Passato e Presente, aggiunse continuando: « La mozione per cui si stabiliva che gli interventisti non potevano essere ammessi nel partito fu solo un mezzo di ricatto individuale e un'affermazione demagogica », la quale « servi a falsificare la posizione del partito che non doveva fare dell'antinterventismo il perno della sua attività» . . La sinistra di classe non fu dunque capace, assumendosi così una grave responsabilità verso il Paese, di fare un'aperta autocritica la quale, riconoscendo un senso all'intervento e alla vittoria e schierandosi a fianco della posizione della sinistra democratica mazziniana-bissolatiana, avrebbe potuto fugare gli equivoci e stroncare la minaccia implicita nel54
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==