Mario Del Vecchio politica di programmazione, negli stessi termini in cui era stata intesa agli inizi degli anni '60. Mi sembra cioè che non di altro si tratti se non della esigenza di sviluppare i consumi pubblici, di ancorare il processo di sviluppo agli investimenti nei settori produttivi che più direttamente possono consentirci di risolvere i problemi sociali del Paese. E qui è indispensabile fare riferimento alla « Nota aggiuntiva » del '62 dell'on. La Malfa, allora Ministro del Bilancio e Programmazione .. La seconda osservazione è che questo tipo di politica comporta l'accettazione anche della logica della ristrutturazione dell'offerta, attraverso lo spostamento di risorse dai settori in crisi, saturi e non prioritari, ai settori in sviluppo capaci di soddisfare la domanda alimentata dai consumi pubblici. E qui io oserei chiedere a Lama e a Trentin, se la loro tesi sia compatibile con il rifiuto, da essi stessi ribadito, della logica della ristrutturazione e della riconversione industriale, che in definitiva altro non è che un processo di ristrutturazione dell'offerta. È chiaro che a questo punto si pone il problema del controllo del processo di ristrutturazione. I sindacati non hanno fiducia nelle leve di controllo e soprattutto in chi ha in mano queste leve. Le forze politiche di opposizione sono sostanzialmente sullo stesso piano, direi in modo più duttile sotto certi aspetti, e quindi più aperti al discorso. Anche le Regioni - è stato detto - devono partecipare a questo controllo del processo di ristrutturazione che (e su questo siamo tutti d'accordo) non può avvenire in termini burocratici e tecnocratici, non può avvenire al di fuori e sulla testa delle istanze politiche, parlamentari e regionali, nella misura in cui interessa soprattutto e direttamente le situazioni e l'assetto delle Regioni, le situazioni e l'assetto del Mezzogiorno. Si devono creare, quindi, le condizioni per l'espansione della domand2 interna e la sua modificazione nel modo che le istanze democratiche, parlamentari e regionali, intendono. E allora: se queste sono le condizioni generali da creare, raggiunte le quali sarà possibile una impostazione di politica meridionalistica che sia coerente con il quadro generale, anche i progetti speciali, di cui tanto si discute, soprattutto nelle Regioni meridionali, possono essere utilizzati e vanno utilizzati in questa prospettiva, per attivare in un certo senso questo tipo di offerta che riguarda essenzialmente il Mezzogiorno. Cioè se è vero che i progetti speciali possono contribuire e devono contribuire a risolvere i problemi infrastrutturali, essi devono essere utilizzati - nella misura in ·cui questo è· possibile - anche per attivare un certo processo di sviluppo industriale. Consentitemi di fare un esempio che conosco da vicino. C'è stato 92
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