Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Il liberalismo come risposta a sfida I come alle diverse « sfide » a cui la libertà individuale è stata sottoposta nel corso dei secoli più recenti - quelle dell'assolutismo, del totalitarismo, e così via -, è stato solo e sempre il liberalismo a dare una risposta valida: una risposta di libertà, senza camuffamenti ideologici. Da Locke a Montesquieu, da Humboldt a Constant, da Tocqueville a Stuart Mill, da Kant a Croce, il pensiero liberale ha sempre reagito alle sfide che il « potere » ha lanciato alla libertà, ha saputo sempre proporre un nuovo ordine politico, dove la libertà non fosse affidata a motivi utilitaristici, ma indicata, a un tempo, come mezzo e come fine: a ragione, quindi Matteucci può definire il liberalismo, data la costante avversione da esso dimostrata nei confronti del «potere», come una sorta di anarchismo che sa fare i conti con il « principio di realtà ». La risposta liberale è valida ancora oggi, di fronte a quella nuova e più insidiosa forma di totalitarismo (non assolutistico, ma pur sempre totalitarismo) che è la società tecnocratica, novella sfida alla libertà? E se lo è, in che misura? Questa è la domanda alla quale Matteucci, dopo aver compiuto, a monte, la sua « scelta » liberale, si è trovato di fronte: e il suo sforzo, come ha rilevato Giovanni Ferrara su « Il Mondo », è stato « di costringere il liberalismo, come dottrina politica incarnata nel costituzionalismo, a fare i conti con quella che appare la sua peggiore nemica, cioè la realtà storica contemporanea della società di massa, industriale, permeata di esigenze di tutela, ordine e giustizia, di efficienza e, corrispettivamente, di anarchismo», per giungere « a proporre una problematica della libertà concreta, sociale, statale, giuridica, strutturale, che risponda alle esigenze di oggi e di domani». Non era un compito facile: lo stesso titolo dato da Matteucci alla sua recente ricerca (Il liberalismo in un mondo in trasformazione, Il Mulino, Bologna, 1972), è rivelatore dello scopo finale da lui perseguito: quello di vedere le possibilità di una risposta « liberale » alla « sfida tecnologica » (per usare la nota espressione di Sergio Cotta, il quale, alcuni anni addietro aveva dato ad essa una risposta in chiave semireligiosa, decisamente « interiore»), risposta che può aversi soltanto non attraverso un ripensamento critico (o, peggio, un superamento dialettico) della dottrina liberale, bensì attraverso il tentativo çli fondare una « prassi » liberale, o, meglio, il momento « empiricocritico » del liberalesimo teorico, il quale finora ne sarebbe stato privo. Non era certo, come prima si diceva, un compito facile: e pur 7

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