Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Editoriale ., quella segnata da Boumedienne o a quella segnata dalla socialdemocrazia di Brandt. È alle forze che si riconoscono nell'esigenza di un « Tevere più largo » che spetta quindi ancora una volta di far valere la « scelta preferenziale delt europeismo » o, se si preferisce, le « priorità degasperiane », inquinate di petrolio mediterraneo. Ma questo loro compito è oggi tutt'altro che facile. C'è un'iminagine geografica cui La Malfa fece eloquente ricorso già durante la campagna elettorale del 1970 per le elezioni regionali: volendo esprimere una preoccupazione carica di implicazioni politiche e fondata su dati di fatto, egli disse, infatti, che, se non fossimo riusciti ad impedire il deterioramento progres~ivo di una situazione economica e finanziaria già allarmante, sarebbe stato frustrato lo sforzo, che l'Italia aveva intrapreso fin dagli anni '50, di scalare le Alpi per entrare in Europa; e che prima o poi, e magari più prima che poi, il nostro paese sarebbe stato risospinto nel Mediterraneo. Gli avvenimenti che in questa settimana hanno indebolito il nostro rapporto con l'Europa dimostrano fino a che punto hanno avuto torto coloro i quali hanno sottovalutato i sinto1ni del deterioramento della situazione economica e finanziaria o si sono illusi di poter evitare il peggio grazie all'atteggiainento del proverbiale medico pietoso. L'On. Giolitti ha scritto su « l'Avanti! » che non si deve indugiare nelle recriminazioni e meno che 1nai « invocare espiazioni e auto-flagellazioni ». D'accordo. Ma occorre pure che ci si sottoponga ad un severo esame di coscienza per valutare quali errori abbiano concorso a ritardare la nostra integrazione nell'Europa e quindi a provocare il nostro slittan1ento verso il Mediterraneo. Se non vogliamo affondare nel Mediterraneo, dobbiamo riacquistare nei confronti dell'Europa la cosiddetta «credibilità»: che era cresciuta, diciamo, fino al 1968 ed è poi rapidamente din1inuita. Ecco allora le grandi questioni che sono davanti a noi: anzitutto è indispensabile un recupero della stabilità politica, perduta nel 1968; soprattutto ci si convinca che, se voglia1no rincorrere l'Europa, dobbiamo lavorare più dell'Europa, come nel dopoguerra, e non come negli ultimi anni, quando abbiamo cominciato a lavorare meno dell'Europa e ci siamo concessi il lusso di sottovalutare le nostre debolezze « mediterranee »: il Mezzogiorno e la disoccupazione. 5

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