Editoriale vato dal fatto che la Conimissione aveva effettivamente proposto un impegno più rilevante per il fondo comunitario comune, ma subordinato all'impegno di tutte le monete di -fluttuare insieme, mentre noi pretendeva1no il primo impegno dagli altri senza assumere quello di rinunciare alla -fluttuazione libera. Abbianio avuto infine l'aria di accusare gli altri di essere stati meno europeisti di noi: un errore di stile, ilnplicito in un atteggiamento che certo non ci fa guadagnare credibilità in Europa. E come se tutto questo già non gettasse una pesante ombra di dubbio sulla nostra capacità di tenere il passo dell'Europa, un giornale di informazione ha riferito di una dichiarazione del Ministro degli Esteri in base alla quale l'area mediterranea veniva identificata come « il tema prioritario della politica estera italiana ». La Farnesina ha poi smentito; ma la smentita è risultata alquanto contorta: « questa politica mediterranea significa semplicemente attuare uno degli aspetti della politica europea ». E sia. Ma restano le preoccupazioni suscitate da una nostra propensione (e a sinistra chi è senza peccato, socialista, basista o forzanovista, scagli la prima pietra) a considerare il Mediterraneo come area di una politica nazionale, alternativa rispetto alla politica europeista. Su questo argomento abbiamo sempre parlato chiaro e ci riconosciamo nel giudizio con il quale Sergio Fenoaltea, su « La Nazione», ha reagito all'afferrnazione che era stata attribuita al Ministro degli Esteri: « l'europeismo è un ancoraggio democratico: la politica europeista di per sé non lo è», perché « anche un'Italia totalitaria, di qualunque colore, potrebbe fare una politica mediterranea, ma solo un'italia democratica può fare una politica europeista ». Stiamo attenti ora: guai se dovessimo rovesciare le « priorità degasperiane ». C'è un insidioso « distacco psicologico » dall'Europa, uno « scetticismo » sul futuro della integrazione europea, che potrebbe favorire il distacco politico dall'Europa o quanto meno fare impedimento al riagganciamento economico all'Europa; e senza questo riagganciamento il distacco politico sarebbe fatale. Tanto più che, come rilevava Fenoaltea, per quanto riguarda la DC « non è detto che l'europeismo sia la scelta preferenziale di quelle sue frange di sinistra che, più che alle democrazie europee, si sentono vicine al terzo niondo e 1nagari ai vietcong, o di quelle sue frange di destra cui sorride l'idea di una maggiore intimità fra Roma e Madrid ». E per quanto riguarda i socialisti, essi sono in Italia assai più incerti sui temi dell'europeismo di quanto non lo ~iano i socialisti olandesi e tedeschi; e subiscono anch'essi le suggestioni di un populismo di maniera che sembra a volte preferire i paesi mediterranei all'« Europa dei monopoli», magari non avendo ancora accertato se la via nazionale al socialismo debba passare più vicino a 4
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