Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Bruno Visentini deve vivervi e per l'affetto di chi vi vive, e quindi soltanto se la città è viva ed è prospera. Ma una città viva non significa necessariamente una città di petrolchimica e di siderurgia, di raffinerie e di altiforni, e neppure di grandi carpenterie o di immense linee di montaggio. Queste concezioni, oltre a tutto, sono vecchie, non tengono conto dello sviluppo che nella vita economica hanno assunto, e non da oggi, i servizi e sono anche, mi sia consentito dire, frutto di pigrizia: perché è assai più facile pensare astrattamente (e soggiungo subito, senza alcuna concreta possibilità di realizzazione) che i problemi sarebbero risolti con l'insediamento di alcuni grandi stabilimenti (che oltre a tutto non si vedrebbe dove potrebbero allocarsi), che non individuare il modo o i modi per inserire la città insulare nello sviluppo delle attività dei servizi e svolgere le necessarie analisi e l'opera necessaria e diversa di caso in caso per dare attuazione a un tale indirizzo. Certo è che se si deve evitare di fare di Venezia un museo, occorre prima di tutto evitare di farne un cimitero. E tutta la retorica della fascistica modernità e della fascistica rapidità e decisione che accompagnarono lo sviluppo della zona industriale di Marghera e la costruzione del ponte stradale, si è risolta nel disastro per Venezia insulare: disastro fisico e disastro economico. Forse può essere curioso ricordare che ancora nel 1924 Mussolini dichiarava che il ponte stradale non sarebbe stato mai costruito e che se egli avesse avuto mano libera avrebbe fascisticamente eliminato anche il ponte ferroviario. Pochi anni dopo egli inneggiava invece alla fascistica n1odernità del nuovo ponte. Era molto più coerente Marinetti che fin dall'inizio del secolo aveva auspicato la distruzione di Venezia, sin1bolo di miti ro1nantici e decadenti. Se egli fosse ancora in questo mondo potrebbe vedere che il suo auspicio si va realizzando; ma poiché era un uorno di intelligenza e di cultura, che amava la cultura e che nelle sue affermazioni procedeva per simboli culturali e per esasperazioni culturali, sono certo che se ne dorrebbe profondamente. Non è qui il mon1ento e il luogo - e sarebbe troppo lungo farlo - per ricordare le vicende storiche dell'economia veneziana. D'altra parte, come ho già detto, i proble1ni attuali di Venezia richiedono di essere individuati anche nelle loro cause: e quindi non si può non fare qualche accenno, sia pure estremamente sintetico ad alcuni fatti meno lontani . . Con la caduta della repubblica e con i vent'anni quasi delle guerre napoleoniche che sconvolsero l'Europa venivano meno i legami commerciali che Venezia aveva continuato ad avere con i paesi d'oltre mare e che erano rimasti importanti, benché ridotti in confronto ai secoli 30

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