Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Il liberalismo carne risposta a sfida I Non si capirà mai il cosiddetto antilluminismo di Croce, se non si tiene presente la sua polemica contro la programmazione delle istituzioni (di cui appunto l'illuminismo settecentesco fu il teorizzatore principale), le quali devono nascer dal seno stesso della storia, devono essere prodotto non elaborato a freddo, ma quasi autoproducentesi dal vivo dei contrasti reali, devono essere sentite in maniera, diremmo, sanguigna, dagli uomini che le vogliono: « Ogni istituto che si riformi o si crei a nuovo - ha scritto in Etica e politica - deve, per vivere, diventare interesse dei singoli, sentimento, affetto, ricordo, speranza, idolo, poesia: il che, agli occhi dell'a~tratto razionalista, è un contaminarsi, ma nella realtà è un semplice rigettare l'astrattezza per la vita. E, concretandosi a quel modo, certo correrà il rischio di diventare altresì un giorno, egoistico e antiquato; ma questa è la sorte di tutte le cose umane. E morirà certamente, un giorno: ma avrà vissuto». Quando Matteucci esprime tutto il suo stupore per il fatto che il pensiero liberale non abbia mai proceduto alle analisi sociali, di classe, per vedere quali sjano le forze potenzialmente utilizzabili per la propria strategia politica, e risolve la questione individuando una sorta di horror sacer del liberalismo nei confronti di questa metodologia solo perché proposta dal marxismo, non tiene forse in conto il fondamento rigorosamente teoretico di quello stesso horror, nascente appunto dalla diffidenza liberale (particolarmente crociana) verso gli ingegneri della libertà, i quali credono basti programmare e· realizzare alcune istituzioni acconce, per ottenere una società libera: ma le istituzioni, tutte le istituzioni, funzionano nel senso che gli uomini vogliono, per cui la preminenza dell'animo libero, di cui parlava Croce, sugli istituti, resta il momento fondamentale del cam• mino della libertà. Non vorremmo, a questo punto, essere andati oltre il segno, lasciando intendere che Nicola Matteucci, nel suo impegno a fondare la prassi, il momento empirico-critico della teoria liberale, si sia trasformato anch'egli in un ingegnere della libertà: il che sarebbe ingiusto oltre che falso. Il suo richiamarsi al momento empirico non significa infatti adesione « a una teoria che è fiduciosa saltante nella mera raccolta di dati, coniugati secondo ben precise regole tecniche stabilite in partenza », bensì_ uno sforzo per costruire ·1a teoria liberale, non soltanto in base ai « sacri » princìpi, bensì « analizzando i fatti sociali del presente, in una prospettiva essenzialmente storica ». Il richiamo alla ragione storica (e non alla 13

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