Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Girolamo Cotroneo - e il contesto in cui si colloca - abbia suscitato è pressoché superfluo ricordare: il dibattito con Luigi Einaudi o la genesi di quel liberal-socialismo di cui ancora oggi Guido Calogero continua a dirsi portatore (e che Croce, non desiderando la ·« istituzionalizzazione» del suo liberalismo, avversò decisamente, - cosa questa che Calogero continua ancora oggi a rimproverargli). Da un certo punto di vista esso sembra pure dare ragione a Matteucci, rivelando una certa indifferenza verso la prassi politica, che Croce si accontentava di vedere inquadrata in un sistema generale di libertà; e ancora esso risponde al dilemma di Bobbio, rifiutando sia l'assoluto sfrenamento della hegeliana « bestia selvaggia », sia il suo « addomesticamento» coatto. Ma questa « indifferenza » sulla quale Ma tteucci ha fatto leva per il sostegno di tutta la sua tesi, che cosa vuole veramente significare? Croce, in linea con il miglior liberalismo europeo - la cui diffidenza verso lo Stato è stata efficacemente illustrata qui da Matteucci - non amava la programmazione delle istituzioni: riteneva anzi che le istituzioni in se stesse non fossero né buone, né cattive, privilegiando nei confronti di esse l'uso che gli uomini sanno farne (e questo può essere un motivo che spiega la sua poca simpatia per le scienze sociali, soprattutto nelle vesti dommatiche e astratte che · avevano ai suoi tempi). Il suo interesse giovanile verso il marxismo, dal quale si allontanò pdma ancora che facesse la sua « prova storica», vedendo in esso - sia pure a favore della giustizia - una deminutio della libertà; la stessa cauta aspettativa, diventata poi opposizione radicale, quando ne vide l'autenfico volto illiberale, di fronte al fascismo', sono prove e della sua sostanziale indifferenza verso le istituzioni e le forme politiche, alle quali chiedeva soltanto l'allargamento, o per lo meno il mantenimento, della libertà (respingendole duramente quando non la realizzavano) e al tempo stesso della sua riluttanza verso le organizzazioni politiche a carattere totalizzante (fra queste, lo Stato hegeliano ), intese a « fermare » la storia e a fissare definitivamente le istituzioni. Nei confronti delle quali aveva un atteggiamento alquanto singolare: commentando in- · fatti una volta la << divisione dei poteri » proposta da Montesquieu, scriveva che lo stesso teorico di essa « non era in grado di sostenere che con questo meccanismo istituzionale si generasse e mantenesse libertà e si impedisse servitù, perché, se manca l'animo libero nessuna istituzione serve, e se quell'animo c'è, le più varie istituzioni possono secondo tempi e luoghi rendere buon servigio ». 12

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