Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Maria Aurora Tallarico n1e rispetto alla più vasta produzione dedicata ai campi di concentramento e ai mitici tempi della lotta partigiana. Solo nel '52 con la pubblicazione di Una manciata di more ci si rese conto del tempo perduto nella valutazione della narrativa siloniana e fu ancora il Cecchi che ne propose l'inserimento nel filone neo-realistico degli anni '40. Ma gli impegni e le problematiche etico-politiche del nostro neo-realismo - tradotte sul piano sociologico-documentario 6 da un Levi nel '45 (Cristo si è fermato a Eboli), da uno Jovine nel '50 (Le terre del Sacramento), da uno Scotellarro nel '54 (Contadini del Sud); da un Dolci nel '63 (Racconti siciliani) - nel 1930 solo all'estero poterono essere proclamate e intese: l'italiano Silone dové essere tradotto in tedesco per essere letto; e Fontamara, località ben precisa della nostra Marsica, anche se nessuna carta geografica la riporta, divenne « Bitter stream » nel dramma dell'americano Wolfson (1936), emblematico paese di emarginati, simbolo di una condiz1one dell'uomo, che travalica i limiti della storia e della geografia. Ripensando dunque alle date, Silene è un neo-realista ante litteram (così come la sua è una Resistenza ante litteram) e cronologicamente e spiritualmente gli si può considerare affine forse solo l'esperienza di un Alvaro che, negli stessi anni, scriveva il racconto lungo Gente di Aspromonte, più stilisticamente perfetto, ma più povero, o sfumato, nell'impegno morale e sociale. « Scrivere per me - dirà Silane - non è mai stato un godimento estetico ... se ho scritto dei libri è stato per cercare di capire e di far capire ... ». Questa è la sua profes~ione di fede: conferma polemica dell'impegno politico a favore dei suoi cafoni»; denuncia coraggiosa dello stato di arretratezza secolare della campagna italiana, aggravata dalla trasformazione di una politica di paternalismo feudale nella politica di violenza e sopraffazione fascista; contributo, anche se isolato, alla presa di coscienza da parte della sua gente della realtà storica. La concezione niceforiana della inferiorità del Sud ( « I contadini del Sud non son buoni altro che a farsi ammazzare stupidamente») trova la sua smentita in Berardo Viola, l'eroe di Fontamara, che si farà ammazzare, ma non stupidamente, anche se il suo rimane un caso disperatamente isolato. Non tanto la scelta cosciente quanto piuttosto l'intuizione della realtà e la volontà di modificarla e di contribuire alla sua trasformazione 7 farà di lui il personaggio emblematico del riscatto di una classe sociale che rifiuta la storia come schema del destino, e ne vuole rompere le assurde catene. e< Se la storia è storia della libertà, lo è soprattutto perché è storia della rivolta e dell'utopia » (Pampaloni). Questo è il limite di Fontamara; l'utopia, l'impossibilità storica di tradurre sul piano rigorosamente 6 Così Gianni Scalia definisce quella tendenza della narrativa italiana, nel numero monografico di « Nuova Corrente» dedicato al realismo (1959). 7 Egli dice: « E se io muoio? Sarò il primo contadino che non muore per sé ma per gli altri ». 126

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