Nord e Sud - anno XX - n. 160 - aprile 1973

Antonio Saccone a Nanchino '. In Cina, a Nanchino? Non a Milano? 'E a Canton' Manuele disse. ' A Fu Ciou e Su Ciou '. ' Anche in Polonia' un altro disse. A Varsavia? A Varsavia. A Belgrado? A Belgrado. E dove anche? Anche a Londra? Certo anche a Londra. E in Grecia. In Russia. Certo anche in Russia. In Russia a Smolensk? In Russia a Vitebsk. A Oriol, in Russia. A Diepropetrovsk. A Kaluga. A Mosca e a Tula. In Russia e non a Milano? In Russia e non a Milano » 27. Un discorso a parte merita il brano Delle cinque circonvallazioni che percorrono la nostra città, che chiude la prima parte di Nome e lagrime. Sono le pagine del romanzo, lasciato interrotto ed inedito, che Vittorini abbozzò nel '61. Il frammento è noto col nome di « manoscritto di Populonia », perché, a quanto sembra, lo scrittore avrebbe dato inizio alla sua stesura, mentre si trovava in quella località. L'abbozzo del romanzo nasce dopo sei anni di silenzio narrativo. Nel '56 infatti Vittorini aveva interrotto Le città del mondo: spinto dalla sfiducia nella possibilità di realizzare un'operazione conoscitiva col tramite di strumenti espressivi inadeguati e impegnato nella ricerca di un linguaggio che fosse a livello della tensione storica da esprimere, lo scrittore siciliano preferì puntare, con la collana di narra tori « I gettoni» più che sull'intervento creativo, sul ritorno all'attività di organizzatore culturale. Ciò accadde agli albori della rivoluzione tecnologica e della ristrutturazione neocapitalistica degli anni '60, destinate a mutare il volto della società italiana e insieme a porre, nel lavoro di revisione dei linguaggi e delle tecniche poetiche, l'urgenza di strumenti intellettuali inediti. L'impossibilità di trovare uno sbocco positivo alla tensione tra natura e società, tra mito e storia, la sensazione che la tematica « contadina», che aveva animato gli ultimi tentativi creativi di Vittorini da La garibaldina (1950) a Le città del mondo, venga sempre più messa ai margini della realtà storica, dell'evoluzione tecnologica, spingono lo scrittore non solo ad interrompere il suo ultimo romanzo, ma anche ad iniziare nello stesso anno, cioè nel '56, il suo « silenzio narrativo». Il '56 è l'anno della svolta: si assiste a quel processo di crisi e di revisione provocato, all'interno della cultura italiana di sinistra, dagli echi della rivoluzione ungherese ma anche dalla nascita dello sperimen- . talismo della Neoavanguardia, che si prefigge di sostituire l'impegno neorealista. Si percepisce in alcuni settori della cultura italiana ì'incompatibilità sorta tra gli atteggiamenti del vecchio impegno retorico e umanistico è la collocazione delle nuove funzioni intellettuali nell'ambito di una società capitalistica avanzata. Vittorini non rinuncia ad essere protagonista di tale dialettica storica e a suscitare nuovi progetti di ordine speculativo e critico ad essa adegua• ti. A questi fenomeni va collegato il lancio della tematica della letteratura industriale sul n. 4 de « Il menabò », la rivista diretta da Vittorini dal 1959 al '66, anno della sua n1orte. Lo scrittore siciliano si rende interprete della necessità di colmare le carenze della cultura ita27 Milano come in Spagna, Milano come in Cina, in Nome e lagrime, cit. p. 96. 120

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==