Nord e Sud - anno XX - n. 159 - marzo 1973

Quale sviluppo? In entrambi i documenti si possono infatti avvertire le preoccupazioni comuni a molti studiosi contemporanei sui pericoli e l'assurdità di uno sviluppo tecnologico ormai fine a se stesso. Può darsi che l'avvenire si presenti come ha previsto il biologo René Dubos, secondo il quale « affinché ci sia un cambiamento bisogna spingere fino all'assurdo una civiltà che all'inizio era ragionevole (in quanto) l'uomo si adatta a tutto, ma perde le qualità essenziali della vita »; nel qual caso, forse, soltanto un'apocalisse ecologica potrà far dubitare della validità del sistema. Oppure può aver ragione l'economista che ha dichiarato recentemente a Roma che sulla terra possono trovare posto 50 miliardi di individui senza· però spiegarci che razza di esistenza condurrebbero questi nostri discendenti (se pure è lecito chiamarli tali). O infine, potrà verificarsi una mutazione genetica, in conseguenza della quale la statura degli uomini si ridurrà a 15 centimetri - non è un fumetto fantascientifico, lo abbiamo letto su una seria rivista - cosa che consentirebbe la sopravvivenza delle specie. Tuttavia, fino a quando per uomo si intende il personaggio di Huxley, che continua a leggere Shakespeare in un mondo di schiavi, la soluzione è e resta politica: si tratta di cambiare un tipo di sviluppo economico strettamente dipendente dalla produttività crescente e da una « logica » secondo la quale è realizzabile solo ciò che conviene in termini di costi ed è utile solo ciò che rende in termini di profitto. Uno Stato veramente moderno non può permettere che l'aumento del reddito resti la sola finalità della società umana, anche se comporta squilibri, alienazione, ghetti, inquinamento, rovina; uno Stato moderno deve finalmente sottrarre ai tecnocrati un potere di cui hanno certamen te ed in ogni senso abusato, presumendosi insostituibili come la casta sacerdotale degli antichi Incas. I concetti di redditività, produttività ecc. hanno ormai una diffusione ed una validità quasi universali e certamente non saranno accantonati in un futuro previdibile. Al punto in cui siamo è tuttavia necessario che essi siano reinterpretati, considerati non assoluti, non decisivi per l'avvenire dell'uomo, che siano cioè ·inquadrati in un contesto più complesso, come del resto è la stessa natura umana. Una volta effettuato questo « declassamento » non interesserà più sapere, o interesserà molto meno, se le conclusioni del rapporto M.I.T. siano vere oppure false, perché il dilemma industria-sì, industria-no diventerà nella sostanza, un falso dilemma: e in questo senso, a nostro avviso, va indirizzata la ricerca di nuove soluzioni del problema meridionale. FILIPPO SCALESE 85 ,,

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