Filippo Scalese a parte i danni ambientali che non possono non provocare. Le industrie che producono consumi ed attrezzature per i servizi - e che chiameremmo « industrie del terziario », per distinguerle - stimolano invece un'occupazione più immediata e territorialmente più estesa. Cj sembra insomma che le indifferibili esigenze civili delle popolazioni meridionali - che si traducono in pratica nella costruzione, il riattamento, la diffusione di quelle struture civili, di cui il Mezzogiorno è largamente carente ed ha disperato bisogno - possono costituire l'indispensabile premessa e, nello stesso tempo, la forza traente di questo tipo di industrializzazione. Così per il turismo, le cui attività sono sempre neglette se si dà al termine il suo giusto significato: e quindi non i colossali complessi alberghieri, la lottizzazione delle coste, lo scempio del paesaggio, ma la conservazione dell'edificio, il museo zonale, lo scavo archeologico e tutta una serie di iniziative che gli enti locali sembrano completamente ignorare e che sono tutte utili ai fini di una capillare occupazione, oltre che naturalmente dell'educazione civile delle popolazioni. Se fino a questo momento la denunziata e cronica mancanza di fondi poteva essere una scusa accettabile, ora, dopo la costituzione delle Regioni, lo è certamente molto di meno. Questo discorso è meno astratto di quanto a prima vista possa sembrare, soprattutto se si considera l'ulteriore esodo agricolo che presumibilmente si avrà nel Mezzogiorno in seguito all'applicazione del Piano Mansholt. Secondo tale piano, infatti, l'evoluzione delle strutture agrarie in Europa, va orientata verso la costituzione di efficienti imprese agricole a conduzione capitalistica; il che comporterà il trasferimento di una parte della manodopera agricola verso gli altri settori economici. Ne potrà derivare un considerevole aumento della disoccupazione - e quindi dell'emigrazione dalle zone marginali, quali il nostro Mezzogiorno - in quanto difficilmente gli altri settori saranno in grado di accogliere gli « espulsi » dall'agricoltura. Anche per questa prosima « scadenza » quindi è opportuno puntare su un tipo di industrializzazione, i cui effetti sull'occupazione risultino più vicini nel tempo e soprattutto territorialmente più diffusi. Circa poi le conseguenze che un accentuato esodo settoriale potrà avere sull'economia italiana, crediamo si possa non essere pessimisti se si consideri l'applicazione del piano attraverso la stessa ottica « terziaria » cui si è accennato. Anzitutto la premessa da cui discende il Piano - noto anche come 82
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