Nord e Sud - anno XX - n. 159 - marzo 1973

Filippo Scalese Viceversa, sulle previsioni del M.I.T. - che i compilatori del rapporto non considerano tali, ma le « affermazioni circa i probabili modi di comportamento, o tendenze del sistema globale» - si è aperto un dibattito di dimensione mondiale: e non solo fra i « ·notabili » delle aree progredite e quelli delle aree sottosviluppate - i primi preoccupati delle conseguenze negative di un alto livello industriale già raggiunto, i secondi che vedono nell'industria l'unico mezzo per riscattare la secolare miseria -, ma anche fra studiosi di discipline diverse, con grande varietà di giudizi, sia nel valutare la situazione e le prospettive emerse, sia nel formulare ipotesi di possibili rimedi. Nonostante queste differenze di vedute, va tuttavia sottolineata la quasi totale unanimità circa l'elevato prezzo che l'umanità sta pagando al cosiddetto sviluppo tecnologico e la necessità di operare un « salto di qualità » nell'esistenza umana. Tutto ciò dà la misura di quanto anacronistiche e sterili possono diventare le attuali prospettive di soluzione del problema meridionale (già piuttosto sfocate rispetto alla mutata realtà del Mezzogiorno), se non si cambiano radicalmente i punti di vista sulla questione. Già da vari sintomi si intravede che non è più, o non è tanto la localizzazione industriale, a decidere lo sviluppo di una zona; ed è forse utile chiarire, a questo punto, che non si vuole - e d'altronde non si potrebbe - negare il ruolo fondamentale ,che l'industria svolge nei processi di crescita economica. Ma sta da chiedersi, se, a parte i motivi di ordine ecologico, non sia lo stesso tipo di sviluppo economico a far dubitare della possibilità di adeguati investimenti industriali nelle regioni meridionali. È certamente troppo tardi per porre rimedio ai gravi danni umani provocati dal rapido e disordinato esodo rurale; e tuttavia si continua a parlare dell'industrializzazione come se essa potesse operare il miracolo di un ritorno degli emigrati, laddove questo ritorno, se vi sarà, avverrà sull'onda di una paurosa e non auspicabile crisi economica. Si spera ancora nell'espansione industriale per frenare l'ulteriore impoverimento umano delle contrade meridionali, per far cessare il dramma dell'emigrazione: il quale peraltro non è soltanto la somma di quei drammi individuali, sui quali, di tanto in tanto, converge l'attenzione dell'opinione pubblica, ma è un ignorato dramma collettivo, la distruzio;ne di un antico tessuto rurale, la fine di un ormai scomparso mondo contadino che avrebbe potuto progredire economicamente e migliorare culturalmente e politicamente senza essere sradicato dalle sue origini millenarie. 80

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