Regioni e finanziarie regionali pubblico centrale, possa realizzare grandi cose con un capitale di duecento miliardi, e soprattutto se non si farà in modo che, in seno ai suoi organi deliberanti ed esecutivi, vengano dibattuti a fondo e risolti efficacemente i problemi relativi ai nodi più importanti dell'arretratezza del Mezzogiorno, ed in particolare (volendone indicare soltanto ·uno) il problema connesso alla scarsa capacità imprenditoriale degli operatori meridionali. Forse non è ancora venuto il momento (nonostante la longevità della questione meridionale), ma è chiaro che solo attraverso una articolazione democratica ( ossia effettivamente aderente alle necessità vere della ancora differenziatissima realtà del nostro paese) del processo di programmazione nazionale, si potrà sperare in un ordinato sviluppo della società. Ed è, altresì, evidente che il problema della strumentazione del programma economico nazionale potrà essere risolto in termini democratici, solo se non si toglierà alle Regioni nulla dei già insufficienti poteri, di cui sono istituzionalmente investite; sicché esse possano realmente divenire il filtro attraverso il quale gli interessi locali socialmente apprezzabili trovino soddisfazione con immediatezza, nel rispetto dell~ necessità e degli interessi dell'intera collettività 11 • In questa luce e tenendo particolare conto delle necessità attuali delle piccole e medie imprese, soprattutto di quelle operanti nel Mezzogiorno, il problema delle finanziarie regionali di sviluppo potrebbe tro11 L'incontro tra i Presidenti delle giunte regionali, svoltosi a Bari nel giugno 1972, si è concluso con l'approvazione di un documento, contenente alcune « rivendicazioni» di autonomia, espresse fondamentalmente attraverso tre princìpi: a) « carattere di soggetto politico riconosciuto alle Regioni, conseguente ruolo autonomo nel processo di confronto dialettico con lo Stato, per la elaborazione e l'attuazione della programmazione nazionale »; b) « ampio ricorso alla delega di funzioni dallo Stato alle Regioni, superando schemi normativi e burocratici rigidamente predeterminati nel rapporto tra i due livelli istituzionali»; e) « abbandono del sistema « binario», assegnazione all'amministrazione centrale di funzioni di indirizzo e coordinamento della programmazione più che di amministrazione diretta». Per dare pratica concretezza a questi princìpi, le Regioni, a Bari, ribadivano la loro volontà di partecipare al processo di programmazione nazionale nelle sedi decisionali effettive, e al fine di rendere questa partecipazione reale non nominale sottolineavano in quel documento la necessità di prendere atto della « assoluta inefficacia di soluzioni organizzative del tipo di quella introdotta con la Commissione consultiva interregionale presso il Ministero del Bilancio ». « Sarà necessario, invece, - prosegue il documento - tornare alle proposte già avanzate dalle Regioni subito dopo la loro istituzione, proposte che prevedevano una· presenza più organica e sistematica delle Regioni .stesse nelle sedi politiche decisionali del Piano, e in particolare del C.I.P.E., da trasformare in un organo di programmazione centrale di cui facciano parte, oltre ai rappresentanti governativi, anche quelli regionali ». Queste «richieste» sono state ripetute e ribadite in occasione della Conferenza del1e Regioni meridionali, svoltasi a Cagliari dal 1° al 3 dicembre 1972. 63
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