Giornale a più voci di altre apparecchiature elettroniche idonee ad evitare l'abbordaggio, l'arenamento e gli altri accidenti del mare. Queste sono le raccomandazioni rivolte ad ottenere una normativa idonea a prevenire le grandi catastrofi da inquinamento cui si accennava. Ma esiste anche un piccolo inquinamento, quotidiano, volontario, provocato da navi di modeste dimensioni, che scaricano nel mare gli oli lubrificanti usati e dalle petroliere che, effettuata la consegna del carico, appena fuori dalle acque territoriali sciacquano le loro cisterne. È questa una forma di inquinamento che nei suoi singoli episodi sfugge ovviamente alle cronache dei giornali, ma non per questo provoca meno danni della precedente. Per porvi un freno il documento raccomanda « di stabilire nelle zone di mare Adriatico non soggette all'autorità esclusiva degli stati costieri dei controlli, anche comuni, idonei a prevenire inquinamenti da idrocarburi che possano costituire una minaccia per le popolazioni costiere». È questo un punto che merita un discorso a parte per le perplessità che suscita: non che tali controlli siano inopportuni o inefficaci, ma viene spontaneo chiedersi come possano gli stati costieri esercitare un'attività coercitiva su navi straniere in alto mare senza commettere un grave illecito internazionale. Il diritto internazionale conosce già da tempo alcune limitazioni al principio della libertà dell'alto mare anche in tempo di pace, come il diritto di catturare navi pirate o navi che effettuino il commercio di schiavi. Questa constatazione incoraggia a cercare un fondamento giuridico al comportamento dello stato rivierasco che ferma ed ispeziona la nave che sta per porre in essere o ha già posto in essere un inquinamento marino capace di provocare un danno alle sue coste, il che, detto per inciso, avverrà sempre in un mare chiuso come l'Adriatico. La disciplina convenzionale in materia è estremamente carente. È vero infatti che l'attività di inquinamento di cui ci stiamo occupando cade sotto gli strali della convenzione di Londra per la prevenzione dell'inquinamento delle acque del mare da idrocarburi del 1954 emendata nel 1962, ma si tratta di strali che non colpiscono il bersaglio a causa dei numerosi difetti, due dei quali, in particolare, paralizzanti. Il primo consiste nel fatto che non si fu capaci di vietare radicalmente che sostanze inquinanti fossero riversate nel mare. Infatti lo si ammise per particolari categorie di navi anche nelle zone di interdizione stabilite dalla stessa convenzione, e quel che è peggio fu che lo si ammise anche fuori di queste zone per tutte le navi aventi stazza lorda inferiore a 20.000 tonnellate e per quelle il cui contratto di costruzione fosse stato stipulato prima del 18 maggio 1967. Ciò ha portato a conseguenze tali che la quasi totalità delle navi oggi in attività può riversare sostanze inquinanti, nel migliore dei casi,.a cento miglia dalla costa. Sembra veramente che i compilatori della convenzione fossero all'oscuro del fenomeno delle correnti marine! Il secondo grave motivo per cui la convenzione è inoperante, e qui veniamo al nostro problema, è dato dal f~tto che non si è riconosciuto allo stato minacciato da inquina, mento il diritto di intervenire dir~ttamente contro la nave inquinante. Esso 39
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