Girolamo Cotroneo fare un mestiere e basta »; e tante altre analoghe affermazioni s1 potrebbero riportare ove ne valesse ancora la pena. Come sempre, il generico ha finito con il prevalere: nessuno, ad esempio si è chiesto se la responsabilità non andasse anche al fatto che gli intellettuali italiani in questi ultimi anni hanno oscillato fra la « feltrinellizzazione » e la « rusconizzazione », fra funerale e carnevale, come ha scritto tempo addietro Raffaello Franchini; quale grado di attendibilità presentino le idee di Augusto Del Noce che da posizioni di cattolicesimo liberale si trova oggi sulle linee della « restaurazione culturale » di Armando Plebe e compagni (o camerati) e che adesso invita a leggere la storia non più secondo « i vecchi modelli liberal-crociani, radical-azionisti, comunisti o via dicendo » e a ristudiare per altra via fenomeni « come il fascismo e il nazismo » che non sarebbe legittimo qualificare barbarie e basta (come li dovremmo qualificare, allora?); o ancora di filosofi come Spirito la cui parabola culturale non è certo fra le più esemplari e che oggi definisce l'antifascismo « il proseguimento peggiore dell'ultimo fascismo ». Ma che cosa ha portato gli intellettuali italiani a imboccare il vicolo cieco di là del quale vi sono soltanto l'ultragiacobinismo o il più gretto conservatorismo? A nostro avviso la risposta va trovata nel concetto che della cultura si è avuto in questi ultimi anni, quando essa è stata confusa con l'impegno politico immediato (del quale la cultura, pur essendo «politica», è qualcosa di qualitativamente diverso). Ci si è lasciati, inso1nma, convincere che un discorso culturale per essere valido dovesse possedere una efficacia immediata, essere un oggetto da utilizzare subito. Oltre questo, si è creduto di potere misurare i] lavoro culturale con il discutibile metro del contenuto « progressista » (aggravato dal fatto che in Italia, dalla fine della guerra a oggi si è creduto e si continua a credere che il « progressismo » coincida con il marxismo, e basta). Era chiaro che una volta o l'altra quest'arma dovesse scoppiare fra le mani di chi l'adoperava in maniera così incauta. La validità di un pensiero, di un momento culturale, non consiste nel suo essere subito utilizzabile, né la sua carica progressista .può essere misurata con il metro dei canoni in voga nel tempo: f>ensatori come Vico o come Kierkegaard, non solo non dissero nulla che rispecchiasse le tendenze del loro tempo, ché anzi furono addirittura sordi alle istanze che esso proponeva; la carica progressiva contenuta nelle loro opere fu recepita addirittura secoli dopo. Con 14
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