Nord e Sud - anno XX - n. 159 - marzo 1973

Luigi Compagna commissioni interne attorno agli anni '55, andrebbe considerato proprio alla luce di quelle che furono le diverse impostazioni di Di Vittorio e Togliatti sul problema del sindacato nella società italiana, e soprattutto sul problema dell'indipendenza dei sindacati dai partiti politici. Impostazioni diverse che furono però «mediate» dal patriottismo di partito, il quale se da una parte impose a Togliatti di non giungere mai ad uno scontro aperto e diretto, neanche nel suo pur « durissimo» intervento al VI Congresso del PCI, dall'altra parte costrinse Di Vittorio a ripiegare dalla grande visione unitaria dell'immediato dopoguerra per attestarsi su una linea di difesa degli interessi quotidiani dei lavoratori. Layolo sfugge sostanzialmente alla disamina critica di tutto questo processo e per spiegare la sconfitta degli ideali unitari di Di Vittorio non trova di meglio che addossarne ogni responsabilità al capitalismo. Il patriottismo di partito si traduce così, sul piano del giudizio storico e dell'analisi politica, in manicheismo anch'esso di partito; eppure, non mancano delle significative ammissioni. « Di fronte all'altissima coscienza nazionale e sindacale di un uomo che tutto aveva conquistato da solo lottando tutta la vita, - scrive Layolo - c'è da stupirsi ancora oggi anche se ciò può sembrare ingenuo, come vi sia stato, non solo da parte del nemico di classe ma anche tra i sindacalisti, chi abbia potuto sabotare un impegno così responsabile e unitario volto alla difesa dei diritti inalienabili del lavoratore e contemporaneamente alla ricostruzione materiale e morale del paese». La verità è che la speranza di Di Vittorio («La indipendenza dei sindacati deve essere così reale ed effettiva che un lavoratore, sia esso· comunista, liberale, del partito d'azione, cattolico, protestante, ebreo, deve sentirsi nel sindacato come in casa sua») fu frustrata da una ben precisa scelta politica del Partito Comunista Italiano, meditata e dettata da Togliatti. Di fronte alla frattura sempre più evidente che si andava creando fra Est e Ovest e di fronte al sipario di ferro che calava sull'Europa, i comunisti, pur mantenendo una facciata unitaria formale, accentuarono ferreamente la loro presa sul sindacato per farne un'arma di lotta politica quotidiana rivolta innanzitutto contro il governo ed in quanto tale incompatibile con la concezione unitaria di Di Vittorio. Piaccia o non piaccia, è una vicenda da ricordare perché ancor oggi il discorso sull'unificazione sindacale è collegato al discorso di allora; ed anche se oggi i comunisti sbandierano il loro spirito unitario, in realtà furono proprio loro, attraverso una consapevole scelta politica, a causare la rottura dell'unità sindacale sorta con il Patto di Roma. Di Vittorio seppe comunque rimanere alla testa del sindacalismo comunista e la sua leadership espresse la dimensione « popolare » - e non « populistica» - della difesa degli interessi quotidiani dei lavoratori, su un terreno 1neno ideologizzato di quello preconizzato in quegli anni da Vittorio Foa e da altri in seno alla CGIL. Il sindacato era visto come una delle grandi forze di attuazione costituzionale per dare un ruolo ai lavoratori nello Stato e nello stesso tempo promuovere la qualificazione civile e sociale dello sviluppo economico, e l'unità sindacale fu sempre indicata come un obiettivo che andasse 118

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