Recensioni lavoratori e adeguando l'utopia di Campanella con quanto di nuovo ci hanno insegnato la lotta di classe e il marxismo». Ha ragione Galasso quando, a proposito delle analogie e delle differenze tra Di Vittorio e Gramsci, afferma che « in Di Vittorio ritroviamo una matrice che lo lega alle sue origini contadine coi vincoli di una istintività sanguigna, robusta, che non ha nulla a che fare con l'intellettualismo lucido e raffinato proprio di Gramsci. Gramsci ebbe, inoltre, un inizio di revisione di fondo quando intuì certe svolte radicali della storia europea a metà degli anni '30; Di Vittorio la sua svolta l'aveva avuta da giovane, con l'abbandono di tendenze sindacalistico-rivoluzionarie che si potrebbero considerare « naturali» in lui e col passaggio al partito comunista». A questa svolta ed a questo passaggio gli insegnamenti gramsciani non restarono comunque estranei, ed anzi Di Vittorio, nello spiegare poi la sua revisione, si sarebbe sempre riferito alla profonda analisi del movimento sindacalista, dalle sue origini alla sua evoluzione, che aveva udito da Gramsci in occasione del loro primo incontro nel 1923. «Perla prima volta - ricorderà Di Vittorio - e proprio da Antonio Gramsci ho sentito questa osservazione: perché il movimento sindacalista si era sviluppato di più nei centri del proletariato agricolo e precisamente in Puglia e in Emilia? Perché le masse del bracciantato agricolo sospinte alla lotta dai bisogni urgenti di vita, di svilup-- po, di progresso, erano portate naturalmente ad essere insofferenti alla disciplina burocratica che il riformismo della Confederazione generale del lavoro voleva imporre alle Leghe e ai Sindacati. Gramsci aveva acutamente analizzato gli elementi di arretratezza politica e di impazienza rivoluzionaria che caratterizzavano il proletariato agricolo». D'altra parte anche Gramsci, come suggerisce Layolo, avrebbe tenuto pre-- sente la vicenda politica di Di Vittorio, quando, circa tre anni dopo quel loro primo colloquio, nel saggio ora famoso su Alcuni temi della questione meridionale, avrebbe cercato di meglio definire ed interpretare le tendenze sindacalistico-rivoluzionarie e la loro «naturale» diffusione nel Mezzogiorno. « Se osservate bene - scrisse Gramsci - nel decennio 1900-1910si verificano le crisi più radicali del movimento socialista e operaio, la massa reagisce spontaneamente contro la politica dei ·capi riformisti. Nasce il sindacalismo che è l'espressione istintiva, elementare, primitiva ma sana della reazione operaia contro il blocco con la borghesia e per un blocco dei contadini meridionali. Proprio così: anzi in un certo senso, il sindacalismo è un debole tentativo dei contaJini meridionali, rappresentati dai loro intellettuali più avanzati, di dirigere il proletariato. L'essenza ideologica del sindacalismo è un nuovo liberalismo più energico, più aggressivo, più pugnace di quello tradizionale». Ma se il libro di Layolo riesce assai bene a ricostruire il rapporto tr~ Di Vittorio e Gramsci, non altrettanto può djrsi a proposito del rapporto Di Vittorio-Togliatti che è poi quello fondamentale per inquadrare la figura ed il ruolo di Di Vittorio nel movimento sindacale comunista del dopoguerra. Tutto il periodo che va dal Patto di Roma del giugno 1944 alla scissione del luglio 1948, dalla scissione della CGIL al crollo delle liste confederali nelle 117
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