Luigi Compagna invece una profonda continuità storica ed una fondamentale contiguità eticopolitica; una continuità ed una contiguità che la biografia di Layolo riesce a ricostruire mirabilmente, al di là delle contraddizioni e delle inesattezze che si riscontrano sul piano della riflessione e dell'analisi politica in senso stretto. Nella biografia di Di Vittorio che, come ha scritto Amendola, « si svolge con le sue intricate vicende, e l'inevitabile scotto di errori, dolori, sacrifici», si possono cogliere, come ha notato Giuseppe Galasso, aspetti e momenti decisivi della storia italiana di questo secolo, attraverso « l'armonizzarsi di tanti elegenti in una figura di capo assolutamente singolare ». Di Vittorio infatti va visto soprattutto come una grande figura di capo, politico e sindacale, espresso dal Sud contadino come Antonio Gramsci, ma a differenza di Gramsci formatosi politicamente e, se si vuole, anche culturalmente nelle lotte dei braccianti pugliesi, dei « suoi braccianti» come dice Layolo. Eppure, accanto alla soddisfazione e all'orgoglio per i progressi che l'organizzazione dei lavoratori andava facendo nella propria regione,. in Di Vittorio fu costantemente presente la preoccupazione che la Puglia finisse col diventare « un'isola circondata dalla arretratezza delle altre regioni meridionali e lontana dai contatti utili con il resto del contesto nazionale». In questo senso si può legittimamente parlare di una « coscienza meridionalista » di Di Vittorio che, così come appunto gli forniva, fin dai primi anni della sua attività, la bussola per orientarsi fra le varie spinte locali e le multiformi rivendicazioni settoriali, gli avrebbe poi impedito, nel periodo difficile della ricostruzione, di lasciarsi trascinare dai sussulti e dagli isterismi di questa o quella categoria di lavoratori che avrebbe voluto bruciare i tempi a svantaggio delle esigenze dell'occupazione e quindi del Mezzogiorno. Era stata proprio la coscienza meridionalista che alle elezioni politiche del 1913 aveva portato Di Vittorio a distinguersi dai suoi amici sindacalisti, che proponevano ai lavoratori di astenersi dal voto, ed a schierarsi decisamente per la partecipazione al voto in favore di Gaetano Salvemini, candidato socialista in Puglia. « Salvemini -- aveva pensato Di Vittorio - era meridionale, uomo di cultura e di libertà. Avrebbe certamente saputo esprimere dai banchi socialisti della Camera le aspirazioni dei lavoratori ». Il meridionalismo di Di Vittorio era sostenuto certamente più dalla forza del sentimento che dal rigore del ragionamento, ma non per questo va considerato meno suggestivo e meno significativo, anche e soprattutto ai fini della ricostruzione del suo itinerario di formazione, o meglio di auto-formazione, culturale. « Tu sai - avrebbe detto un giorno Di Vittorio a Layolo, ricordando la lettura de La città del Sole fatta a diciannove anni - che io sono un patito della mia terra e della mia gente e l'utopia di Campanella è quella che sta dentro la testa di ognuno di noi che stavamo e stiamo ancora all'inferno ». E~ il leader sindacale della più grande organizzazione di lavoratori in una società che si avviava ad essere sempre più industriale e sempre meno agri, cola, sempre più urbana e sempre meno rurale, non avrebbe mai abbandonato la « certezza», semplice e non semplicistica, etico-politica e non fideistica, « che questa città del sole sarà edificata e con la testa e con le mani dei 116
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==