Cronache 1neridionaliste miardi di lire (ricordiamo che è del 1968 la decisione dell'investimento Alfa Sud a Pomigliano ); seguono Casavatore con 6 miliardi nei settori meccanico e chimico e Torre Annunziata con 4,4 miliardi nei settori chimico e dei 1nanufatti in cemento; quindi Arzano ( 3,7 1niliardi), Giugliano (2,8 1niliardi), Volla e Cercola (2,7 nziliardi), e infine Nola, Castellammare, Acerra, Pompei e Sant'Antimo con un investimento superiore al miliardo di lire. Come si vede, anche se in nzodo tùnido, la « corona di spine» che circondava Napoli, secondo Nitti, agli inizi del secolo, nei primi anni della seconda metà dello stesso secolo tendeva a mutarsi in una « corona d'industrie ». Ma· la metà degli anni 60 segna anche il culn1ine di questa fase ascendente dell'industria di Napoli e dell'industrializzazione della sua area metropolitana. A partire da questa data anche a Napoli, al pari di quanto è avvenuto a livello nazionale, « si è chiuso un ciclo di espansione del nostro siste1na industriale » - co1ne dice il nuovo piano economico nazionale -; soltanto che a Napoli i contraccolpi della recessione sono stati avvertiti in modo più violento che altrove. E questo proprio nel momento in cui sia il primo e più antico tessuto industriale napoletano sia quello più recente sembravano, sull'onda di una congiuntura favorevole a livello sia nazionale che internazionale, poter acquisire solidi livelli di efficienza e di stabilità. Ed anche l'IR/ e le partecipazioni statali si erano mosse di più e meglio, co,ne ricorda Francesco Co,npagna riprendendo lo scritto di Giuseppe Petrilli pri,na citato. « C'è stato un rilevante impegno nel Napoletano dell'imprenditore pubblico; tanto più rilevante in quanto, a partire dagli anni 50, le iniziative dell'IRI nel Napoletano sono state rigorosamente coordinate, progra,nmate, in modo che la loro strutturale plurisettorialità potesse efficientemente valere ai fini di un disegno di sviluppo globale dell'area napoletana. Ma se questo è vero, è anche vero che sarebbe un proposito assurdo quello di chi volesse fare di Napoli la capitale di un regno del Sud a prevalente economia pubblica, contrapposto al resto d'Italia, dove l'iniziativa privata ha ordito quello che i managers chia,nano il vero tessuto connettivo dell'indu, strializzazione. Forse, ora che l'imprenditore pubblico ha fatto la sua parte per quanto riguarda la grande industria e le grandi infrastrutture, noi siamo più vicini di quanto non crediamo alla soglia oltre la quale si determinerà finalmente a Napoli una situazione di convenienza relativa degli investimenti industriali, con1parqbile a quella che si riscontra nelle aree di più decisa e di più antica industrializzazione del nostro paese. Ma potren1mo non varcarla, quella soglia; potremmc, anzi, allontanarcene, regrede_ndo, se non dovesshno riuscire a ridare slancio ad una crescita economica che negli anni 50 _enegli anni 60 è stata assai più rapida 59
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