Nord e Sud - anno XX - n. 157 - gennaio 1973

Italo Talia gione della loro stessa provvisorietà, non poteva che implicare la progressiva elaborazione di una cornice organica nella quale inserire i futuri interventi dell'Istituto nell'area napoletana» 3 '. Come la classe imprenditoriale, dalla Unione degli Industriali alla Camera di Commercio, dal Banco di Napoli all'ISVEIMER, la classe politica ed i sindacati operai si sono inseriti nell'elaborazione di questa « cornice organica» di cui parla Petrilli? (Cornice organica che d'altronde non sembra essere ancora completa come dimostrano i recenti casi delle Manifatture Cotoniere Meridionali che hanno definitivamente chiuso i battenti a Napoli)? Poco e male, se dobbiamo dare una risposta a questo interrogati'vO. Poco se si analizza, da un lato, il nun1ero delle imprese e delle aziende poste a valle delle grandi industrie a partecipazione statale, e dall'altro se si considera il peso crescente che l'IRI, l'ENI e l'EFIM hanno assunto nel contesto dell'econ·omia napoletana; male se si pensa che in genere ci si è limitati al documento di protesta, alla petizione al Ministro, insomma ad una azione di retroguardia. Nessuna meraviglia, quindi, se il censimento industriale del 1951 denunciava una situazione di «gigantismo» di aziende a partecipazione statale (prevalentemente nel comparto metalmeccanico) e una miriade di piccole aziende « nane » a prevalente iniziativa privata, per riprendere la tradizionale espressione di Augusto Graziani; in mezzo il vuoto, la quasi completa assenza di aziende di medie dimensioni. E nessuna meraviglia, inoltre, se si registrava una concentrazione spinta sia dal punto di vista settoriale che da quello territoriale. Tre settori richiamavan.o quasi la metà delle forze lavorative: il settore metalmeccanico, il settore alimentare, il settore tessile. « Secondo il censimènto del 1951, il 45% degli addetti ed oltre il 65% della potenza installata erano concentrati in questi tre settori, costituiti da industrie di antica data». Napoli e, solo ad una certa distanza, Pozzuoli, Castellammare di Stabia e Torre Annunziata concentravano circa il 90% della struttura industriale napoletana. Allora possiamo dire che agli inizi degli anni. '50 la « terapia dell'industrializzazione » avrebbe dovuto battere essenzial1nente due strade. Una prima, volta ad allargare il fronte delle produzioni dell'industria napoletana, ampliare il ventaglio di settori e dei comparti, riempire il vuoto tra la piccola azienda e la grande industria. Una seconda, volta ad allargare la bese territoriale dell'industria partenopea: non più soltanto ed unicamente Napoli, ma tutta quella che già allora, sia pure in modo potenziale, si delineava come area metropolitana di Napoli. E possiamo dire, da questo punto di vista, analizzando i dati degli investimenti a 3 Giuseppe Petrilli: L'IRI nell'economia napoletana. Società Storia di Napoli, Napoli 1971. 56

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