Nord e Sud - anno XX - n. 157 - gennaio 1973

Cronaclw 111.cridionaliste nzare e Torre Annunziata erano ancora presenti vecchi nuclei di industrializzazione - si può collegare alla legge del 1904. È, infatti, da questo momento che dapprin1a la zona occidentale poi iniziano a perdere il loro carattere spiccatamente agricolo ed a divenire la zona industriale per eccellenza. Ma nasce con due vizi. Il prin10 d'ordine urbanistico: si chiuse la città ad oriente ed ad occidente, togliendole quello spazio e quel verde che necessitavano e necessitano alla sua decompressione. E non aver pensato, in ten1.po, non nel 1904 1na negli anni 50, ad orientare l'industrializzazione napoletana (si pensi al tragico ritardo con cui Napoli ha potuto disporre di un piano regolatore) è una di quelle colpe che vanno ascritte, co1ne si diceva, alla classe politica locale, colpe non senza conseguenze se si pensa, oggi, agli incerti destini della industria di base napoletana: dal problema dello sposta,nento dell'Italsider e della Cementir di Bagnoli, a quello della centrale tenno-elettrica dell' EN EL e della raffineria Mobil Oil di San Giovanni a Teduccio. Tutti proble,ni questi che finiscono a finiranno per incidere sul ruolo e sulla funzione del porto di Napoli, che è stato e resta il maggior fattore di localizzazione industriale della provincia di Napoli. Il secondo vizio d'origine riguarda la struttura s tesS'a dell'industria napoletana: nata e mantenuta in vita per « volontà del principe», cioè dello Stato, è stata indirizzata per lo più verso settori dipendenti da commesse dello Stato stesso. Di qui una debolezza strutturale, una politica di sovvenzioni e di salvataggi, che dalla fine della prilna guerra mondiale alle conseguenze del secondo dopoguerra hanno accompagnato gran parte della vita artificiale vissuta da interi co,nparti produttivi. Dal s'ettore tessile a quello dei cantieri navali, dalle costruzioni ferro-tranviarie alla meccanica pesante, è stato un susseguirsi di riconversioni, di ristrutturazioni, di s1nantellarnenti che hanno condizionato, non poco, anche l'affennarsi di una classe i,nprenditoriale indigena in grado di andare al di là della piccola industria, ed hanno reso, al contrario, massiccia la presenza delle partecipazioni statali e soprattutto dell'IRl. Ed è lo stesso presidente dell'IRI, Giuseppe Petrilli, ad affern1are come, tra le due guerre mondiali e soprattutto all'i,zdomani della seconda, « l'assunzione da parte dell'IRI di preminenti responsabilità nei confronti dello sviluppo industriale dell'area napoletana fosse, da un lato, il risultato necessario delle sue stesse origini storiche e, dall'altro, conseguenza inevitabile della strutturale debolezza dell'industria napoletana che, da semprè gravitava intorno allo Stato e che, a seguito di una situazione di crisi, doveva finire con il ricorrere in 1nodo più diretto all'intervento pubblico. In queste co.ndizioni, il superamento del ruolo di assistenza e di salvataggio che aveva caratterizzato alle origini gli interventi dell' IRI, in ra55

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