Nord e Sud - anno XX - n. 157 - gennaio 1973

Nino Novacco Paese, per discutere responsabilmente della « compatibilità » tra le diverse grandezze macroeconomiche che consentono di assicurare non solo un elevato s'aggio di sviluppo del reddito, ma anche un processo di intensificata, qualificata e finalizzata accumulazione. Si potrebbe così valutare la capacità delle organizzazioni degli imprenditori di concorrere a determinare, da parte delle imprese produttive, comportamenti coerenti con le politiche adottate, e l'analogo impegno delle organizzazioni dei lavoratori, nei confronti di scelte non sempre facili per la classe operaia, ma pur necessarie: basti pensare ai problemi implicati dalle necessarie operazioni di ristrutturazione di aziende e settori in crisi o in difficoltà, che non possono trovare rislposte diverse al centro e alla periferia; o al problema dell'occupazione, che andrebbe visto in una prospettiva che escluda ulteriori consistenti movimenti migratori dal Sud al Nord, riconducendoli a manifestazioni di libertà individuale, e non a vincoli collettivi dettati dal bisogno. Potrebbe cominciare qui un a1npio discorso intorno al significato che dovrebbe assumere, ed ai rnodi in cui dovrebbe realizzarsi, una politica nel quadro della quale le forze sociali del Paese sarebbero chiamate - al di fuori di ogni sche1na rigido e di ogni formula, sui cui ormai e da tempo si sollevano pregiudiziali « teologiche » - a concorrere ad un'opera che vedrebbe lo Stato impegnato con un suo ruolo di guida strategica, in funzione di obiettivi che sono nell'interesse di tutti, e che andrebbero gestiti in termini « imprenditoriali ». Se è vero, come penso non si possa contestare che sia vero, che lo sviluppo del Paese non può essere affidato al liberistico dispiegarsi degli interessi - che oggi sono, accanto a quelli padronali, anche quelli sindacali - m.a che è necessario che tali interessi siano ricondotti e ricomposti ad unità nel quadro di una necessaria progra111mazione, io credo che una linea quale quella indicata potrebbe essere capace di dare a tale programmazione contenuti e forme adeguate alla portata della crisi che attraversiamo, e dei problemi che ne sono all'origine. D'altra parte, s·olo una linea « nazionale» del tipo indicato sarebbe capace, una volta superata la crisi, di fa_ruscire il « problema del Mezzogiorno » dalle secche di un intervento mera,nente « locale », di dare alla necessaria politica meridionalista un respiro adeguato al peso che ad essa spetta per ragioni demografiche e sociali, certo, ma ancor più economiche, e di far assumere alla generale politica economica del Paese una non verbale caratterizzazione favorevole e coerente allo sviluppo delle regioni meridionali, e per ciò stesso all'equilibrato progresso dell'intero sisten1a. Nel quadro di una programmazione ispirata da tale linea, la spe50

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