Nord e Sud - anno XIX - n. 156 - dicembre 1972

Francesco Lucarelli prospettiva, ma sempre nel risultato della compressione del potere di godimento del proprietario - in tema di beni. Ci riferiamo a nu1nerose sentenze in tema di indennità dalla n. 55 del 1968 alla recente n. 79 del 1971, che hanno sancito come « l'art. 42 non impone indennizzo quando la legge pone restrizione al diritto di proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale, lo impone solo nel caso di espropriazione per pubblico interesse ». Non si può, infatti, negare che anche il bene fondiario abbia una naturale destinazione connessa alle attività di produzione e trasformazione, per cui il potere di godimento del titolare possa « variare », nel 1nomento stesso in cui l'obiettivo, da questi pretermesso, sia perseguito da altri. Nella sentenza denunziata, invece, il diritto del proprietario assenteista riacquista piena autonomia (lo testimonia la puntuale e scrupolosa ricostn1zione dei coefficienti di moltiplicazione del canone), relegando ai margini l'equo rapporto sociale, nel totale ribaltamento di posizioni faticosamente acquisite nel decennio. La verità è che il legislatore nella legge del '71 aveva inteso il rapporto di solidarietà non soltanto come compensazione di situazioni di disparità sociali ed economiche, che limitino il diritto soggettivo del proprietario senza intaccare la sostanza (in tal senso si allineava nella sua genericità la legge sull'equo canone del '62), ma quale diritto dell'affittuario di trarre dal bene il frutto del proprio lavoro in misura confacente ai bisogni propri e della famiglia (art. 36 Cost.), in posizione prioritaria rispetto al proprietario in un rapporto in cui il bene è in solidum, in comune tra il lavoratore che lo gestisce ed il capitalista che lo mette a disposizione. Ma è proprio a questa nozione di solidarietà, intesa quale « diritto prioritario » di chi organizza il proprio lavoro produttivo rispetto a chi ne pretende i frutti dell'utilizzazione, che la Corte Costituzionale si è voluta opporre, intravedendo un disegno di alterazione dei fondamenti tradizionali del diritto soggettivo, che antepone alla pretesa del titolare del bene la situazione privilegiata del rapporto di lavoro. La Corte, nell'allinearsi alla difesa di valori dogmatici della scienza del diritto, secondo noi, ha travalicato il suo compito che doveva esaurirsi nel verificare l'esistenza « di preminenti interessi di carattere generale e sociale » che giustificassero l'operato del legislatore nelìa determinazione dei limiti alle proprietà: in questo senso lo stesso collegio aveva sempre ritenuto l'insindacabilità delle scelte politiche (tali devono esser considerate le scelte di politica agraria). Analoghe perplessità di politica economica e sociale (l'organizzazione del lavoro è fattore socialmente rilevante) solleva la potenziale esclusione dal beneficio dell"equo canone dell'affittuario imprenditore, il quale 86

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