Nord e Sud - anno XIX - n. 156 - dicembre 1972

Mario Pacelli dalla Commissione Lavori Pubblici della Camera era l'unica soluzione per creare una « stanza di compensazione » tra forze contrapposte ed alleggerire la pressione esercitata dalle organizzazioni sindacali, che avevano fatto del problema della casa una delle principali rivendicazioni dell' « autunno caldo ». Ora è chiaro che una legge, nata in un tale clima, acquisiva sempre più chiaramente il senso di una dichiarazione di principi, di una sorta cioè di « Magna Charta » per una politica dell'abitazione che fosse quanto più rispondente alle esigenze del Paese. Le preoccupazioni di carattere eminentemente politico erano destinate, in questo contesto, ad avere la prevalenza su quelle di carattere più strettamente giuridico: la formulazione degli articoli risultava oggetto, come emerge chiaramente dal resoconto dei lavori parlamentari, di un compromesso, spesso faticosamente raggiunto, piuttosto che la conseguenza di un organico disegno. Come emerge chiaran1ente dal già ricordato volume dell'Achilli, il blocco che si realizzò fra tutta la sinistra marxista riuscì a condizionare largamente il contenuto della legge nei suoi punti politicamente più qualificanti, come quello del regime pubblicistico delle aree e della successiva utilizzazione delle abitazioni realizzate con il concorso o contributo dello Stato, ma non ad infrangere le resistenze frapposte, in particolar modo dalla D.C., alla totale ed incondizionata affermazione di quei principi. Analogamente accadde a proposito delle procedure di programmazione degli interventi e degli enti incaricàti di realizzarli. Le due opposte tesi della prevalente competenza, rispettivamente dello Stato e delle regioni, che al momento in cui la legge n. 865 fu discussa avevano da poco iniziato a funzionare, fu risolta con un ulteriore compromesso, onde una frammentazione e sovrapposizione di attribuzioni variamente ritagliate che finivano certamente per dare ragione sia ai regionalisti più accesi che a quelli .... più tiepidi, ma nelle quali invano si ricercherebbe un criterio di razionalità. Nel contempo, la soppressione, con il 31 dicembre 1972, di tutti gli enti ed istituti pubblici operanti nel settore dell'edilizia residenziale veniva stabilita senza la contemporanea previsione di nuove strutture organizzative, nella invero illuministica illusione che di esse ben si sarebbe potuto fare a meno in un sistema fondato sull'azione degli Istituti autonomi per le case popolari e sulle cooperative edilizie a proprietà divisa ed indivisa; e senza tenere quindi 16

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