Mario Canino E fu proprio da quel dibattito che scaturirono nuove idee, successivamente approfondite in ulteriori dibattiti e che determinarono, in ultima analisi, l'impostazione della nuova legge, che troppo pomposamente ·si tenta di far passare come la « Riforma del Mezzogiorno». Credo che senza equivoci, l'articolo del Narcisi faccia giustizia su questo punto e ridimensioni molto le attese 1niracolistiche sulle possibilità risolutive della legge in questione, dopo « le manomissioni» operate con le norme di attuazione: in primo luogo il fatto che circa l'87% di tutti i Comuni del Mezzogiorno siano rientrati nelle zone di « particolare depressione », con un provvedimento - di cui stranamente la Gazzetta ufficiale ancora non dà notizia - approvato l'8 maggio 1972: una data talmente vicina alla consultazione elettorale del 7-8 maggio 1972, che fa sorgere il fondato sospetto che non si sia trattato di una « strana coincidenza». Ma, non è mia intenzione entrare nel merito dell'opportunità politica dell'emanazione di un provvedimento così importante, in concomitanza con una consultazione elettorale di tanto rilievo, per il delicato periodo storico in cui il Paese si trovava, né tanto meno desidero riaprire la discussione sul come e perché tale provvedimento sia stato reso noto e solo ufficiosamente molto più tardi; desidero rilevare solo che, secondo me, le forze politiche hanno voluto richiamare, con tale atto, l'attenzione sulla loro determinante funzione di « stùnolo » e « orientamento » sul potere esecutivo. In un breve saggio (Mezzogiorno alla ribalta, Guida Editori, Napoli giugno 1971) sui temi e sui contenuti del Disegno di Legge n. 1523, che modificato doveva venire approvato come Legge 6 ottobre 1971 n. 853, la cosiddetta « Riforma del Mezzogiorno», criticavo talune impostazioni del progetto, proprio a proposito dell'intento di diffondere lo sviluppo a « tutto» il Mezzogiorno, e ponevo anche l'accento sull'opportunità che la 71uova legge risolvesse, una volta per tutte, lo spinoso problema della riforma burocratica e della ristrutturazione dell'apparato creditizio, proprio perché l'esperienza accumulata in tutti quegli anni e più volte denunciata, aveva ampiamente dimostrato che le difficoltà di sviluppo delle medie e piccole imprese - tessuto connettivo di qualsiasi concreto sviluppo - erano appunto dovute alle insufficienze ormai croniche delle strutture amministrative e creditizie, che solo la pressione politica poteva superare - e non sempre brillantemente - nelle deleterie forme del clientelis1no. A mio avviso il merito maggiore della Legge n. 853 (anche se lacunosa ed imperfetta) era stato proprio quello di avere voluto incidere alla radice questo male antico, stabilendo misure più rigide, ma al tempo stesso più semplici e, tempi di attuazione più brevi. Il discorso sulla lacuna e sulla farraginosità di talune impostazioni della Legge n. 853 meriterebbe di essere approfondito, ma ci porterebbe fuori strada. Basta ricordare solo che il progetto originario, molto più semplice e lineare, nel corso della discussione in sede di commissione senatoriale fu sottoposto a tante e profonde modifiche, per lo scatenarsi di interessi particolaristici, che finì per diventare una « legge r01nanzo » ( ad es. l'art. 10 è composto di ben 26 commi). 124
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