Editoriale versibile, come rilievo critico che le forze politiche potrebbero indirizzare ai sindacati. Autocritica dei sindacati? Forse anche. È comunque importante che i sindacati abbiano voluto procla1nare la centralità e la priorità dell'azione 111eridionalista; e ancor più che abbi2no voluto preannunciare che da ora in poi intendono ravvisare nel Mezzogiorno il punto di riferin1ento costante dell'azione sindacale. Tante volte, negli ultirni anni e negli ultimi mesi, abbiamo scritto sulle pagine di questa rivista che è semplicistico parlare di riforme per la casa, per la scuola, per la sanità, per i trasporti, per il Mezzogiorno (e magari eccetera). Queste riforme devono avere tutte come punto di riferiJnento costante il Mezzogiorno, se non si vuole che risultino appena in grado di medicare gli effetti,. senza poter incidere sulle cause di squilibri sempre più gravi. Perché queste cause sono tutte riconducibili allo squilibrio degli squilibri, per così dire: quello fra le due I talie, a nord e a sud della linea Ron1a-Pescara. Il Mezzogiorno non va collocato, quindi, fra le riforme che si devono fare, perché è « orizzontale », o se si preferisce « centrale », rispetto a tutte le riforme e rispetto a tutte le politiche settoriali. E quando,. negli ultirni anni e negli ultimi mesi, abbia,no denunciato gli errori di co111portamento sindacale che hanno contribuito a determinare, con la crisi industriale, la crisi della politica meridionalista, ci riferiva,no agli stessi errori di cui ora ha scritto Bruno Trentin su « l'Unità », prima di « scendere » a Reggio Calabria: « limiti di settentrionalismo e di contrattualisn10 »; e perfino « limiti di corporativismo ». Non solo: se Trentin ha scritto di questi «·lirniti », e degli « errori del passato » che ne sono derivati, e ne ha dedotto che si devono avviare le « necessarie revisioni critiche », un discorso autocritico in senso meridionalistico è stato avviato anche all'interno della CISL: da parte di Scalia e, con molta efficacia, da parte di Taccone. E del resto la preoccupazione per il settorialismo, per il contrattualisn10, per il corporativismo aveva cominciato a serpeggiare da qualche tempo fra gli stati maggiori della CGIL: avvertita da dirigenti che hanno conoscenza ed esperienza dei dati della questione meridionale, come Vignola, e condivisa dallo stesso Lama in più di un'occasione. Non ci era sfuggito a suo tempo il senso che voleva avere, e che aveva, il documento delle tre Confederazioni pubblicato il 15 luglio del 1971 e nel quale si leggeva della necessità di cogliere le « strette implicazioni» fra l'azione contrattuale e quella per il Mezzogiorno e l'occupazione. A quel documento abbiamo dato 1nolto rilievo nei nostri editoriali, così come l'abbiamo dato alle affennazioni di Lama che lo ricalcavano e lo richiamavano (dibattito con Giolitti sul « Mondo » del marzo del 1972) perché da 4
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