Nord e Sud - anno XIX - n. 155 - novembre 1972

Un giornalista contro l'« Ordine» Alberto Bevilacqua, non potrebbe farlo, perché secondo il Presidente del Tribunale, Bevilacqua in quanto non iscritto all'Ordine è uno che non è provato che sappia scrivere. Succede che invece è taumaturgicamente acclarato che sanno scrivere ex-tipografi, ex-grafici, ex-correttori di bozze, ex-aiutanti di spedizioni di agenzie di stampa che non legge nessuno, ex-autisti di ministri e sottosegretari di Stato, i quali, assunti in forza agli « uffici stampa », diventarono « giornalisti professionisti » prima che apparisse all'orizzonte l'istituto dell'esa1ne, oppure in tempo di esami seppero rispondere con precisione chi segnò il goal del pareggio nella partita Italia-Inghilterra del 16 1naggio 1952. Al limite può finire che chi ha risposto esattamente a quella domanda farà carriera come redattore agli interni al « Popolo » dato che il sullodato marcatore era Amadei, il quale con quel goal una settimana dopo si guadagnò un mucchio di voti preferenziali nella lista della D.C. per il Campidoglio. E legale, tutto questo? Non lo so. È serio? Indubbiamente no. E meno serio lo è da quando nel contesto del giornalismo italiano si è inserito il grosso fenomeno del professionismo televisivo. Dove è sempre più difficile stabilire la demarcazione fra burocrate e giornalista. Ettore Bernabei, da anni saldamente ancorato in sella al cavallo di Viale Mazzini, è burocrate o giornalista? I maligni sussurrano che sono in vendita - costosissime - le cartoline in franchigia che il Nostro scrisse dal fronte albanese, come unica testimonianza della sua produzione letteraria. Ma forse è solo una cattiveria. Da un pezzo si sta sostenendo che la TV è un giornale e co1ne tale deve essere in mano ai giornalisti. E poi la scalata alle sedi provinciali: Zatterin a Torino, Vecchietti a Milano, Gatta a Napoli. Quanto, costoro, han continuato ad essere giornalisti e non han finito piuttosto con l'essere schiacciati dalla macchina amministrativa? Quali criteri di giustizia hanno calpestato, quali progressi hanno fatto registrare al giornalismo? Come non pensare che altri moderatori di dibattiti avrebbero potuto nascere se - forti della loro potenza gerarchico-amministrativa - gli Zatterin, i Vecchietti, i De Luca non avessero « chiuso » le speranze o le velleità degli « aspiranti »? Con quale salvaguardia della giustizia Gian Paolo Cresci, assurto ai fasti di capo ufficio stampa della RAI, ha continuato a produrre giornalisticamente? E quale dose di coraggio si rendeva, ? quel punto necessaria ad un qualsiasi critico teleT;isivo (che non fossero kamikaze come Sergio Saviane, Nantas Salvalaggio e Luca Caldeo) per « stroncare» colleghi divenuti così i1nportanti a livello non solo decisionale ma ap.che « punitivo »? E, sopratutto, che guazzabuglio ne usciva da questa strana mistura giornalistico-dirigenziale? Basterà un fatto a ·dar la misura dell'abisso in cui sono caduti. 99

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