Tullio d'Aponte Il programma degli investimenti Montedison si conclude con la previsione di interventi per 230 miliardi in opere infrastrutturali specifiche e per 210 miliardi cta spendere per il risanamento ecologico degli impianti già esistenti e per opere anti-inquinamento relative a nuove iniziative. A fronte di tali programmi d'investimento, mancano, però, i mezzi finanziari di copertura, che, non potendosi identificare con operazioni di autofinanziamento, né essendo possibili operazioni sul capitale, dipendono dai mercati liberi e, specialmente, dall'intervento pubblico. Naturalmente, questo è già un aspetto particolare di un discorso generale che presenta non pochi aspetti singolari che lasciano perplessi. Infatti, se la ristrutturazione è un'operazione aziendale non si comprende perché non debba essere risolta su quel piano, mediante la cessione di tutti i settori non prioritari, specialmente di quelli molto ben collocabili sul mercato, raggruppati nella grande distribuzione e, in parte, negli alimentari e nel metalmeccanico. Se, invece, la ristrutturazione è un'operazione politica di salvataggio industriale, non si comprende perché lo Stato non debba pretendere il controllo dell'Azienda ed operare in senso più ampio secondo i fini della propria politica industriale, settoriale e territoriale. Quando, poi, si chiede che i contributi e i tassi agevolati previsti per gli impianti nel Mezzogiorno siano indiscriminatamente estesi alle analoghe iniziative nel Centro-Nord, si dice qualcosa di molto poco chiaro, proprio perché con quel djscorso si sposta il problema dal piano territoriale a quello settoriale. Perché, se è vero· che l'industria chimica, e in particolare quella di base, ha bisogno di un consistente sostegno pubblico per poter competere a livello internazionale, sembrerebbe ancora più vero che lo svantaggio geografico deJle localizzazioni meridionali dovrebbe sommarsi piuttosto che annullarsi. Ma, se così fosse, avremmo ragione noi, quando sosteniamo che tutta la politica degli incentivi andrebbe rivista e meglio misurato il costo della perifericità; e avrebbero ragione i nostri partners comunitari, quando sempre più esplicitamente accusano il nostro governo di perseguire una politica protezionistica piuttosto che una politica di riequilibrio territoriale. D'altra parte, pur sussistendo questi grossi interrogativi che ci poniamo, resta il problema contingente di oltre 16.000 lavoratori che hanno già perduto o che vivono sotto l'incubo di perdere il proprio posto di lavoro. La soluzione chirurgica proposta a Foro Buonaparte ci lascia perplessi perché non risolve altro se non il problema interno del Gruppo, trasferendo sulla collettività l'onere di quegli oltre 600 miliardi che sarebbe indispensabile ritrovare nelle casse dello Stato. 60
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