Nord e Sud - anno XIX - n. 154 - ottobre 1972

Argonienti riormente le possibilità di autofinanziamento del Gruppo, coinvolgendo nella crisi, in una irrefrenabile reazione a catena, anche aziende della Mon tedison sane o suscettibili di rapida guarigione in seguito ad opportuni investimenti. Dalla carta che abbiamo costruito appare chiaro come, sul piano geografico, la crisi sia più profonda nelle regioni di tradizionale industrializzazione tessile, essendo l'industria tessile, in definitiva, la principale responsabile dell'esigenza di ristrutturazione della Montedison. Infatti, è in Val d'Aosta e in Piemonte che oltre 7000 lavoratori delle fabbriche di Chatillon, Ivrea, Vercelli, Pallanza e dei vari stabilimenti Vallesusa perderanno definitivamente il posto di lavoro senza che alcuna possibilità di riconversione sia possibile. In queste fabbriche, come abbiamo mostrato nella carta costruita sui punti di crisi al 31.12.71, la situazione, prima della predisposizione dei programmi definitivi di investimento e di ristrutturazione del gruppo, appariva meno grave. Risulta ora invece che è indispensabile fermare completamente gli stabilimenti di Chatillon, Vercelli ed Ivrea e, forse, in un secondo tempo, adottare lo stesso provvedimento per la Rhodiatoce di Pallanza. Le soluzioni che si prospettano per salvaguardare l'occupazione in questi punti di crisi non sono contenibili nell'ambito di programmi Montedison, ma, nelle intenzioni dei responsabili della Società, devono essere ricercate al di fuori di questa, possibilmente favorendo investimenti sostitutivi in settori manifatturieri a bassa intensità di capitale. Il che significa una esigenza di disponibilità finanziaria dell,ordine di almeno 180/200 miliardi da investire in un brevissimo lasso di tempo per assorbire una manodopera per la quale già da oggi si richiedono interventi economici pubblici sino al raggiungimento dell'epoca dell'eventuale reimpiego. E questa situazione, molto grave nella regione piemontese, si presenta negli stessi termini in Liguria, Lombardia TrentinoAlto Adige, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Campania, Puglia, dove sarà necessario affrontare soluzioni alternative per il reimpiego di una eccedenza di mano d'opera calcolata intorno alle 5.400 unità, attualmente operanti in vari comparti produttivi. Pertanto, in complesso, saranno necessari almeno 300 miliardi di cui non più di 60 interessano le regioni meridionali del paese, mentre, sicuramente, quasi 240 miliardi, dei 300, dovranno spendersi per la crisi di un unico settore: quello delle fibre e delle lavorazioni tessili. Nel settore chimico, dove pur 2.759 persone figuravano esuberanti, distribuite in ~ 1 stabilimenti dislocati in Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino, Veneto, Marche, Toscana~ Umbria, Puglia e Basilicata, la situazione appare meno pericolosa perché per gran parte di questi lavoratori 53

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