Nord e Sud - anno XIX - n. 154 - ottobre 1972

Tullio d'Aponte litica delle agevolazioni perseguita in favore del Mezzogiorno, è pur vero che, indipendentemente da ciò, sono più gravi, perché maggiormente responsabili, i danni provocati, allo stesso Gruppo, dall'assurda dispersione e diversificazione degli investimenti, dei danni provocati al settore chimico dalla politica miope condotta da chi si lasciava prendere la mano dal clima di euforia finanziaria facilitato dalla messe di sovvenzioni industriali distribuite al di fuori dì una coerente programmazione. Perciò, a rivedere certe posizioni, si rischia di restare coinvolti in una sterile polemica sugli errori del passato, che per essere errori di tutti, della classe politica quanto della classe imprenditoriale, finiscono con l'essere errori di nessuno. E allora, più che classificare, conviene distinguere: conviene affrontare l'esame della situazione quale si presenta nell'attuale contingenza per tentare dì comprendere, alla luce delle esperienze maturate, il senso delle soluzioni che al paese più convengono. In cosa consista il problema dei punti di crisi della Montedison è noto: in sessanta stabilimenti del gruppo risultano 13.400 lavoratori in eccedenza, mentre altri 5.800 non avranno più lavoro, a seguito dell'operazione di ristrutturazione del settore fibre, e altri 300 resteranno forzatamente inattivi, per l'esaurimento di alcune miniere del Gruppo. Di tutti questi lavoratori, una certa parte, potrebbe salvarsi in seguito all'esecuzione di programmi a breve termine:_ 1.290 in seguito alla conclusione di un progetto di fusione nel settore minerario della Salsi nell'ISPEA (ANIC, EMS, MONT.); 1.960 in seguito a programmi di recupero del personale attuati dalla stessa Montedison. Nell'insieme, i punti di crisi, sembra che incidano per più di un terzo sulle perdite d'esercizio del Gruppo, avendo gravato sul bilancio del 1971 per 77 miliardi. In generale, è opinione della dirigenza Montedison che in queste fabbriche, per lo più ubicate nel Centro Nord, la situazione produttiva non possa essere risanata in quanto ci si trova in presenza di impianti tecnologicamente arretrati e dinanzi ad un tipo di localizzazioni nei confronti delle quali le attuali situazioni ubicazionali dell'industria appaiono in netta contrapposizione. Il problema che si presenta è estremamente grave, in quanto, già da tempo, questi punti di crisi avrebbero richiesto la chiusura degli stabilimenti che, invece, si sono voluti mantenere in funzione per considerazioni di ordine sociale. Oggi, però, sembra assolutamente impossibile continuare a tenerli aperti, soprattutto se si vuole evitare che le perdite provocate dali'esercizio di quelle attività compromettano ulte52

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