Tullio d'Aponte zione del Gruppo sia un fatto aziendale e al di là dì quali limiti sia il sintomo di un malessere ben più generalizzato che coinvolge l'intera struttura produttiva di un paese in crisi. Come gruppo industriale, la Montedison rappresenta la maggiore azienda italiana nella quale trovano lavoro ben 175.000 dipendenti. Gli immobilizzi tecnici della società ammontano ad oltre tremila miliardi, il capitale sociale è distribuito tra 270.000 azionisti e il fatturato consolidato, infine, oscilla intorno ai duemila miliardi di lire. Gli stabilimenti del Gruppo assorbono circa il 9% dei consumi interni di petrolio e oltre l' 11 % dei consumi nazionali di energia elettrica; tra le produzioni principali spiccano la quota di mercato del 42% delle fibre (insieme alla SNIA, di recente passata sotto il controllo della Montedison), il 35% del fabbisogno interno di materie plastiche e il 25% di quello di alluminio. In complesso, nella scorso anno, il gruppo ha esportato beni per oltre 600 miliardi. Nella geografia economica del paese la presenza della Montedison è rilevante in quasi tutte le regi9ni italiane; tuttavia, la prevalenza degli insediamenti industriali è nelle regioni forti del centro-nord. Come appare evidente il complesso delle attività produttive che fanno capo alla Montedison incide profondamente sulla struttura industriale del paese, sia per incidenza del Gruppo sull'occupazione che per l'ampia diffusione territoriale degli stabilimenti. Ne consegue che, ai riflessi diretti della presenza Montedison nel paronama industriale del paese, devono aggiungersi gli effetti indotti su una miriade di grandi, medie e piccole industrie che per rapporti di varia natura legano il loro destino alle sorti della Montedison. Queste considerazioni, insieme alle cifre che abbiamo riportato, spiegano il perché dell'attenzione con la quale in tutti gli ambienti economici e politici si seguirono le vicende delìa direzione del Gruppo dopo che alcune operazioni di borsa avevano allargato i linùti di manovra del capitale pubblico all'interno del sindacato di controllo dell'Azienda. Certamente, il succedersi ininterrotto, per lungo tempo, di nomine e dimissioni precipitose, aprendo la successione ad una soluzione volutamente manageriale, non poteva non incidere sul futuro del Gruppo, ipotecando sin da quel tempo talune terapie di risanamento aziendale di cui oggi si conoscono i dettagli . .Così, se il bilancio recentemente discusso ha sancito la fine di una tradizione di artifici contabili, intesi a mascherare una realtà aziendale ben diversa, col peso di quei 230 miliardi attinti dai fondi di riserva per coprire le perdite di gestione ha ufficialmente aperto la crisi del Gruppo. Ma, come mai, dopo appena cinque anni dalla fusione dei due 48
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