Lettere al Direttore ziativa del grande capitale privato di allora, bensì l'epicentro di quella grave crisi finanziaria culJninata nel fallimento della Mobiliare e della Generale e nello scandalo della Romana. Ma queste cose il dotto professore non le poteva dire poiché erano in palese contraddizione con la sua diagnosi e la sua prognosi della crisi econo111icadi Napoli, o di esse non si avvide: il risultato non cambia. I o non ho strumentalizzato un bel niente, dunque, nel sostenere che l'illusione del Nitti fu di aver creduto il sottosviluppo di Napoli e del 1\-1.ezzogiorno effetto generale di una carenza dell'iniziativa imprenditoriale e non piuttosto frutto obiettivo delle sue contraddizioni. Né ho «vanificato» quello che oggi è storia e che al ten1po del Nitti era ancora cronaca viva e dolente. A ognuno il suo mestiere, si dice; e il mio non è di discutere intorno alle «vie» provenzali, cubane o cecoslovacche. Non mi riconosco alcuna particolare competenza in proposito, sicché i n1iei contributi nulla hanno detto poiché nulla dovevano o avevano da dire al riguardo. Il riferimento al Mezzogiorno come la California va visto all'interno del contesto e non fuori. Ed il contesto è soltanto un'analisi, docwnentata e non fantastica, dei limiti oggettivi che il discorso sullo sviluppo industriale del Mezzogiorno presenta quando perde il suo valore di mezzo per divenire finalità suprema e in sé conclusa. Ossia quando l'analisi sul « modello di sviluppo» finisce per prevalere esclusivamente e per surrogare quella sulle « forze di gestione »: cioè quali interessi di cla<:see di ceto debbano presiedere alla sua realizzazione, quali siano gli ostacoli e le contraddizioni da rimuovere a livello politico-sociale a tale scopo, quale n1argine concreto il sistema produttivo ed il quadro politico-istituzionale offrano ad uno sviluppo economico che non sia, come ieri, un semplice contenimento o, come oggi, alienazione consumistica, entrarnbi pannicelli caldi per coprire la persistenza di squilibri economici e sociali più a monte. Come storico, i risultati dei 1niei studi 111iportano a concludere che il meccanismo di accwnulazione fondato sul profitto privato non ha risolto nessuno dei problenii di fondo della società 111eridionale; neppure quando, come era all'epoca del Nitti (che su ciò fondava le sue tesi ottùnistiche sull'avvenire economico di Napoli), il rapporto tra fatto1-i naturali di allocazione industriale e livello della tecnologia toccava indici già elevati di c01nplementarità. Ella 1ni chiede quale alternativa ho da proporre: come studioso di storia non ne ho alcuna. La storia, è cosa nota, non si fa coi « se ». Quel che posso dire, e mi pare di aver dinzostrato nei miei contributi, è che la disgregazione cconon1ica e civile di Napoli non è stata dovuta all'assenza del capitalismo o alla niancanza di privata iniziativa. Posso anche aggiungere che l'iniziativa capitalistica privata ha avuto nella città un carattere tutt'altro che statico ed. arretrato: questa volta, per fortuna, i cosiddetti « residui feudali » non c'entrano. In realtà, l'investiniento capitalistico a Napoli, come altrove, ha obbedito alla legge del massin10 profitto individuale e di gruppo e poco si è curato dell'utilità sociale. Ciò premesso, bisogna stabilire, in generale, se tale fenomeno sia una « deviazione » imputabile a carenze istituzionali e normative 120
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