Nord e Sud - anno XIX - n. 154 - ottobre 1972

Lettere al Direttore lato, la n1atrice frustrata, protestataria e provinciale dello scarfo glismo e dell'ideologia della piccola borghesia meridionale di allora (e di oggi). È indubbio, quindi, che il discorso nittiano mirava a rompere con t ale tradizione rinnovandola in coerenza e modernità. Era, potren11no dire con termine attuale, un importante « fattore soggettivo » dello sviluppo econ01nico del Sud. Ma era anche il limite della posizione di Nitti. La sua analisi d ella crisi delln città e del Mezzogiorno, quanto più era rnotivata ed articolata dal punto dt vista economico, tanto più era carente dal punto di vista politico. Con quali forze sociali e politiche e attraverso quali alleanze d'interessi bisogn asse realizzare l'industrializzazione napoletana, Nitti non diceva. Si lhnitava solo ad auspicare lo sviluppo della privata iniziativa con il concorso dire tto dello Stato. Troppo e troppo poco per dare una reale consistenza politica, ossia un margine di attuazione concreta, alle sue tesi sulla trasformazione in dustriale cittadina. Né egli si attardava ad indicare le necessarie e profonde rifanne all'assetto accentratore dello Stato liberale, che sole avrebbero reso possibile la creazione a Napoli e nel Mezzogiorno di un 1neccanismo di svilup po autopropulsivo. Non a caso, d'altronde, uomini di opposta ideologia ma d i con1une fede den1ocratica e meridionalista, quali Salve1nini e Sturzo, muove ranno a Nitti tale critica. E val poco dire che queste critiche partivano da un astratto ed improponibile modello di democrazia rurale. A parte il fatto ch e l'Italia « agraria » di allora tendeva ad identificarsi con la maggior parte della popolazione e a rappresentare, comunque, in termini economico-produttivi (riqualificazione delle risorse naturali e delle 1naterie prin1e disponibili, sviluppo delle infrastrutture primarie e secondarie, d01nanda di beni strumentali e di manufatti etc.) il vero supporto all'espansione dell'industrializzaz ione interna, bisogna dire che queste critiche al Nitti erano esplicita1nente volte a rilevare l'assenza di una valida proposta politica. In altri termini, Ni tti auspicava l'industrializzazione in quanto tale; chi poi dovesse gestirla, a quali fini politici, e come, erano cose su cui il professor Nitti preferiva sorvo lare. Nel suo scritto su Napoli, egli di tutto trattava meno di una cosa: la stru ttura del rnercato finanziario cittadino e l'azione svolta dall'oligarchia capital istica locale (in pri,no luogo dal Banco di Napoli) nell'aggravare invece di alleviare la depressione economica della città. Per un serio studioso di econon iia quale il Nitti era (e teneva ad essere) unà dimenticanza così grave non pu ò essere casuale. Ma cosa avrebbe dovuto dire, il Nitti, nel momento stesso che faceva appello alla privata iniziativa e indicava nella sua assenza la causa p rincipale della crisi di Napoli? Doveva dire, forse, che l'iniziativa privata c'era stata, e come!, ma aveva preferito investire i capitali nella speculazione edi lizia, nel prestito a usura, nello sfruttamento dei servizi pubblici cittadini, deg li appalti con1unali e delle com1nesse statali, lucrando, à merci, sui soldi della collettività? Poteva dire, forse, che la grave crisi econon1ica degli anni '90, che egli denunziava apertamente, era stata provocata non dall'assenza dell'i niziativa capitalistica ma dal suo fallùnento in seguito ad una serie di sciagur ate operazioni parassitarie e speculative? Il vero è che quella Napoli depressa e sottosviluppata descritta dal Nitti non era stata estranea o periferic a all'ini119

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